Genitori-bancomat? No, grazie. Educazione finanziaria tra dono, relazione e mente

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Di questi tempi si parla molto di denaro e trappole mentali, come nel bel libro di John Searle e Maurizio Ferraris “Il denaro e i suoi inganni” da poco pubblicato. Si parla un po’ meno di behavioral economics applicata all’educazione finanziaria di bambini e adolescenti. Per molti genitori il tema è carico di preoccupazioni: le difficoltà a provvedere al necessario, l’ardua gestione delle pressioni esterne – dalla pubblicità ai coetanei – sull’insorgere dei primi desideri di acquisto, il complesso avvicinamento all’online e alla moneta dematerializzata, la sfiducia verso il futuro. Anche quando non sia avvolta dall’ansia, l’educazione alla gestione del denaro sembra avvenire “all’occorrenza”, ossia quando capita, quando la necessità o la richiesta di un acquisto compaiano nella relazione genitori-figli. Affidarla a quelle occasioni significa privarla di una riflessione che invece meriterebbe, essendo l’educazione finanziaria parte integrante del più ampio percorso educativo.

Si è parlato di questi temi lo scorso 15 marzo nella tavola rotonda “Famiglia, scuola, denaro, futuro: riflessioni e visioni per educare i nativi digitali”, organizzata da FEduF e Doxa Kids con il contributo di PayPal, in occasione della Digital Week del Comune di Milano. Durante l’evento è stato presentato un testo – scaricabile a questo link – che raccoglie le interviste ad alcuni tra i più importanti esperti in materia di denaro ed educazione alla sua gestione: Alberto Abruzzese, Pierangelo Dacrema, Marcello Esposito, Paolo Legrenzi e Paolo Venturi.

Dal dibattito di quella giornata è emerso con chiarezza che l’educazione finanziaria va ben oltre “il diritto di contare” e altre tecnicalità: la catena associativa che parte dal denaro, infatti, riconduce a concetti fondamentali quali dono, relazione, mente, vocazione e futuro.

Eppure molti genitori sembrano non rendersene conto, arrivando in alcuni casi a caricare il denaro di messaggi educativi deformati e pericolosi. Un genitore su due in Italia (Indagine Doxakids, Feduf, American Express, 2016) lo usa come incentivo a comportarsi bene o ad andare bene a scuola, causando una distorsione delle motivazioni per le quali un adolescente debba impegnarsi nel fare una determinata cosa. Vi siete mai fermati a riflettere sulle implicazioni di queste promesse? Se a un ragazzo diciamo “se vai bene a scuola ti do dei soldi” oppure “se ti comporti bene ti aumento la paghetta”, di fatto stiamo sostituendo con incentivi le ragioni per cui deve comportarsi bene o impegnarsi nello studio. Lo stiamo privando di significati che sono determinanti per la sua crescita e per la vita che lo aspetta. Perché, come dice Paolo Venturi nella sua intervista: “A un ragazzo direi: vai a scuola perché la scuola è un modo per essere parte attiva della nostra società, perché è un luogo per crescere e per essere felici. Poi, se questo si traduce in impegno, buoni risultati allora do un premio. Premio che, poi, è una forma di dono”.

Se da un lato il denaro è sempre più spesso regalato o offerto come incentivo per la buona condotta e la riuscita scolastica, dall’altro si sta scardinando il legame denaro-lavoro. Un adolescente intervistato su due non ha mai ricevuto soldi in cambio di un lavoretto, come contropartita per un impegno preso e un lavoro svolto. “È un denaro che sembra non avere passato, né futuro e non crea un vincolo di solidarietà e responsabilità reciproca”, sottolinea Marcello Esposito. Sembra venire fuori all’occorrenza dal genitore, versione umana del bancomat. Se volessimo ricostruire la catena associativa impegno-fatica-denaro-acquisto-oggetto acquistato, allora dovremmo anche aiutare i bambini a trattare bene ciò che hanno e che ricevono in dono. E subito ci tornano alla mente le tante volte in cui abbiamo guardato un bambino scartare pacchi e pacchetti in occasione di un compleanno, assistendo al passaggio, rapido e distratto, da un oggetto all’altro.  “Sarebbe più edificante – dice Pierangelo Dacrema nella sua intervista –  che i genitori educassero i figli ad amministrare bene ciò che possiedono, a trattare bene le cose di loro proprietà, a cercare di acquisire beni utili: in altre parole, a essere buoni proprietari di cose diverse dal denaro”.

business-money-pink-coinsStiamo crescendo adolescenti la cui identità si costruisce più spesso attorno al tema del consumo che a quello della cura, del dono e della condivisione. Moltissimi (uno su due tra i 12  e i 18 anni) non danno nulla in famiglia e giocano d’azzardo più spesso di quanto donino. Li stiamo educando, insomma, a vivere la donazione come qualcosa che, anziché aggiungere, sottrae e priva di qualcosa. Ancora dalle parole di Venturi: “Quando, invece, educhiamo a leggere il dono come forma di esperienza e, in particolare, di esperienza non strumentale dell’altro, allora il dono diventa una modalità straordinaria per costruire identità”.

Certo, il tema dell’educazione finanziaria dei bambini e degli adolescenti presenta una serie di complessità, non sempre facili da affrontare. Come ci ricorda il prof. Legrenzi: “Educazione finanziaria non vuol dire insegnare loro nozioni di base di finanza, ma aiutarli a capire come funziona la nostra mente in un contesto finanziario”. Il divario tra psicologia ed economia, iniziato circa un secolo fa, si sta chiudendo con una convergenza tra queste discipline: gli economisti riconoscono ormai esplicitamente che la teoria della razionalità deve fare i conti con le caratteristiche psicologiche, cognitive e neurologiche del ragionamento umano. La behavioural economics – per la quale Kahneman e Tversky, ma anche Thaler l’anno scorso, hanno vinto il premio Nobel – si concentra proprio su questi aspetti, ossia su come emozioni, irrazionalità, errori cognitivi e meccanismi appresi nel corso dell’evoluzione (ad esempio, lo sbilanciamento sul contenimento delle perdite) influenzino il comportamento umano e le scelte economiche.

Quanto alle nuove tecnologie e alle app per l’insegnamento dei fondamentali dell’economia, saranno un valido supporto nei contesti educativi più ricchi e stimolanti, ma più rischiose negli altri: “La finanza – cito ancora Marcello Esposito – è in un rapporto complesso con il tempo e col mondo, ma ciò che conta è che non siano altri a “risparmiare per noi”, ma che si impari un rapporto corretto con il tempo, con l’attesa e con le conseguenze che la rottura di questo orizzonte temporale e di attesa comporterebbe”.

Insomma, l’attuale educazione finanziaria rischia di appiattire il denaro sull’individuo e sul presente. Il denaro, invece, è prima di tutto scambio con l’altro, ponte tra passato e futuro, legame tra dentro e fuori, tra un desiderio e la sua realizzazione. Il genitore è il primo a dover rispondere alla richiesta di senso e di valore: perché spendere? Perché risparmiare? Perché lavorare? Perché donare? Perché andare bene a scuola? Perché impegnarmi nelle cose che faccio? Gestire dei soldi vuol dire imparare a tenere tra le mani un valore, a definire priorità, differire la soddisfazione, gestire un rischio. Il mio invito, allora, è a togliere il denaro dal vicolo cieco di un approccio educativo di tipo individuale e a moltiplicare i contesti e le occasioni – in famiglia e a scuola – nelle quali possa essere amministrato insieme. Facciamo gestire ad una classe – o a dei fratelli – piccole somme, ascoltiamo le loro riflessioni, educhiamoli a riflettere sul bene comune e non solo su quello individuale. Insegniamo a desiderare, ad aspettare, a risparmiare, a donare, fin da piccoli. Al cuore dei dati che Doxa ha elaborato emerge una richiesta di maggiore partecipazione, condivisione e senso. Perché privarli di queste esperienze? Perché nascondere loro le difficoltà economiche o le rinunce? Le ricerche ci dicono che una comunicazione più aperta da parte dei genitori sul denaro e sul proprio lavoro aiuta i ragazzi sviluppare autoefficacia e indipendenza economica in età adulta.

Dono, relazione, mente, vocazione e futuro. Viene in mente Borges che nel suo racconto “Lo Zahir” scrive: «Il denaro è un ente astratto, ripetei, è tempo futuro. Può essere un pomeriggio in campagna, può essere musica di Brahms, può essere carte geografiche, può essere giuoco di scacchi, può essere caffè, può essere le parole di Epitteto, che insegnano il disprezzo dell’oro […]; una moneta simboleggia il libero arbitro».

  • Barbara Forresi |

    L’argomento richiederebbe integrazioni su diversi fronti, incluso quello relativo allo scenario economico-politico e culturale. Nel volume di interviste (di cui indico il link) si parla anche di questo: di lavoro, precarietà, disuguaglianze sociali e nei diritti riconosciuti a maschi e femmine, della necessità di mettere in campo azioni strategiche che portino un contributo alla rivalorizzazione del lavoro quale sfida cruciale nell’ambito dell’educazione finanziaria. Per educare occorrono passione e fiducia nel futuro. Un’educazione finanziaria deve andare di pari passo con una rigenerazione della fiducia e un rafforzamento della responsabilità, elementi di base di ogni solido sistema economico.

  • Alessandra |

    Come conciliare tutto questo giustissimo ragionamento che fa parte di un realtà e di una logica del passato e anche di un‘ottica legata alla riduzione del debito quando la realtà di oghi parla di precarizzazione e gratuità del lavoro?

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