Diversity: tante parole e pochi fatti. Solo il 14% delle aziende la incentiva davvero

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Solo il 40% delle aziende ritiene che la diversity sia importante per il successo del proprio business. E, tra queste, solo un ancor più basso 14% sta prendendo provvedimenti concreti per migliorare la diversità ai livelli apicali. Sono i principali risultati del report realizzato da Grant Thornton dal titolo “Diversity snapshot: ethnicity, age and gender”, uno studio che punta a mettere a fuoco il grado di diversity di circa 2.500 aziende (tra cui 50 italiane) distribuite in 35 Paesi nel mondo secondo tre criteri: la diversity riferita all’età, quella relativa alla composizione etnica dei team e quella legata al genere. Il report ha inoltre tentato di indagare le attitudini dei leader rispetto alla diversity e come questo loro atteggiamento si riflette poi sulla reale composizione dei team.

In linea generale lo studio di Grant Thornton ha messo in luce come i team a livello senior management accolgano la diversità etnica solo in 6 Paesi sui 35 investigati. Non va molto meglio nemmeno per la diversità di genere visto che ai livelli apicali alle donne è riservato solo il 25% dei posti di comando. Va un po’ meglio per quanto riguarda le differenze di età anche se è raro trovare figure senior che abbiano intorno ai 35 anni. Dal punto di vista della distribuzione geografica, il report rivela che l’Africa e il Nord America sono i Paesi nei quali la diversity viene tenuta in maggior considerazione. Mentre l’Europa è l’area in cui le tutte e tre le categorie di diversità raggiungono i livelli più bassi.

gabriele_labombardaLa ragione? “Oggi la maggior parte delle imprese, soprattutto nel Vecchio Continente, si limita a seguire il mutamento sociale e non ad anticiparlo o guidarlo. Inoltre, al di là delle dimostrazioni di interesse, le imprese faticano a essere consapevoli dei risvolti economici positivi che la diversity, a tutti i livelli, porta nel business”, spiega Gabriele Labombarda, partner di Bernoni Grant Thornton e International Business Center Director.

La diversity etnica: questa sconosciuta
Solo il 31% delle aziende intervistate da Grant Thornton ha dichiarato di ritenere la diversity etnica importante per il proprio successo. E solo 11% ha dimostrato di avere messo in campo policy specifiche o iniziative volte a incrementarla. Si tratta di uno scenario che si riflette e trova la sua ragion d’essere nella composizione etnica dei team a livello senior. I risultati dello studio mostrano, infatti, che il numero medio di gruppi etnici presenti tra alti dirigenti delle aziende di tutto il mondo è 1,5. Guardando i dati divisi per area, solo le imprese africane hanno più di due gruppi etnici (3,2). Mentre il livello più basso – paria a solo 1,2 gruppi etnici – è quello dell’Unione europea. Più in generale, solo 6 Paesi (Botswana, India, Malesia, Nigeria, Filippine e Sudafrica) su 35 hanno imprese con più di due etnie nella propria leadership. Ma si tratta di un dato che riflette, più che la volontà delle imprese di diversificare, la reale composizione etnica di queste Nazioni. “Viviamo in una società – commenta Labombarda – in cui la diversità etnica a livello imprenditoriale è ancora sotto rappresentata, eccetto che in pochi casi in cui all’origine, più che la volontà dell’azienda di diversificare, c’è la capacità di un singolo individuo”. Un’opportunità può arrivare però secondo il professionista, dalla crescita degli investimenti stranieri: “le imprese estere che comprano qui mandano, almeno per i primi anni, manager stranieri a guidare le imprese e questo può aiutare a diffondere una cultura di maggior accettazione della diversità etnica”.

Ancora pochi i giovani al comando
Per quanto riguarda l’età dei team, il 51% delle aziende intervistate ha dichiarato che avere dei gruppi di lavoro eterogenei sotto il profilo dell’età è importante. Nel concreto solo un quarto (26%) dei team senior, a livello globale, includere un individuo che ha più di 64 anni. Un numero simile (24%) ha un dirigente che ha 35 anni o più giovane e si tratta di una percentuale in cui giocano una parte importante soprattutto le imprese di tecnologia di come Facebook che hanno generato una vera ondata di leader giovanili. Tuttavia sembra non essere ancora la norma coinvolgere i giovani nei processi decisionali agli alti livelli. Nel 50% delle imprese intervistate, il membro più giovane dei team a livello dirigente ha tra i 35 e 44 anni. La ricerca evidenzia, inoltre, un divario tra la consapevolezza del valore della diversity relativa all’età e i piani per aumentare questa caratteristica. Solo il 16% delle aziende interpellate da Grant Thornton ha infatti dichiarato di avere piani concreti per estendere le fasce di età. “Nel caso dell’Italia – precisa Labombarda – questi numeri sono sicuramenti maggiori perché il nostro tessuto imprenditoriale è fatto di aziende familiari in cui spesso convivono al comando due o tre generazioni”.

Donne lontane dai luoghi in cui si prendono decisioni
“Nel 2017 – si legge nel report – abbiamo raggiunto un traguardo storico: un dipendente su 4 nei ruoli senior è donna. Tuttavia, solo il 25% delle dipendenti riesce a raggiungere il livello esecutivo, e quindi i ruoli in cui si prendono decisioni. In pratica, nel corso dell’ultimo decennio, abbiamo assistito a un miglioramento dell’1% dal punto di vista dei ruoli senior occupati da donne”. Gli autori della ricerca si chiedono quindi: “Quanto ancora dobbiamo aspettare per vedere un cambiamento significativo?”. La risposta, sembrerebbe, ahimè “molto”, viste le percentuali che emergono dallo studio. Solo il 38% delle aziende intervistate, ha infatti dichiarato di considerare la diversità di genere importante. E solo il 14% ha intenzione di intraprendere azioni in questo settore. “E questo è ancora più vero – sottolinea l’esperto – se si restringe il campo di osservazione alla sola Italia. Qui infatti il cambiamento, a livello di cda, è stato imposto da una legge (Golfo-Mosca) e tuttavia la presenza femminile al vertice delle aziende continua ad essere limitata, anche quando si parla di imprese familiari”. Il motivo, secondo Labombarda, è da ricercare in una mentalità che continua a concepire il business come qualcosa “che viaggia di padre in figlio e non di padre in figlia, anche se è proprio dalle donne che potrebbe arrivare quel cambio di visione capace di trovare nuove strade per business che rischiano di non riuscire a stare al passo con i tempi”.