Salgado, viaggio all’inferno e ritorno. Una mostra a Forma

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Un deserto di sabbia in fiamme, un gruppo di uomini che lottano per sventare una catastrofe e un silenzioso testimone: sono gli ingredienti della mostra Kuwait. Un deserto in fiamme allo spazio Forma Meravigli di Milano.

Le immagini di Sebastião Salgado (Aimorés, Minas Gerais, 1944), probabilmente il più grande fotografo vivente, raccontano quel che accadde in Kuwait alla fine della Prima Guerra del Golfo: nel febbraio del 1991 le truppe irachene, sconfitte e incalzate dalle forze della coalizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti, si ritiravano precipitosamente dal Kuwait dando fuoco a tutti i pozzi petroliferi che incontravano sul loro cammino. Fu l’origine di una devastante crisi ambientale che Salgado stesso, accorso sul luogo come diversi altri reporter internazionali, rievoca così: “il deserto era ricoperto di petrolio: il sole era nascosto dal fumo scuro, mentre larghe colonne di greggio si innalzavano verso il cielo prima di ricadere al suolo e formare laghi neri densi come melassa che esplodevano senza preavviso in inferni di fuoco. Per settimane squadre di specialisti provenienti da diversi paesi del mondo lottarono per spegnere gli incendi e chiudere i pozzi. Fu come assistere alla fine del mondo, un mondo nero intriso di morte.

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Ma la mostra non consiste in un semplice recupero dall’archivio di un celebre reportage di più di 25 anni fa, comparso nel giugno del 1991 sul “New York Times” e premiato con il prestigioso Oskar Barnack Award: Salgado ha ripreso in mano quelle immagini perché qualcosa lo attirava, affiorava da quell’esperienza un’urgenza espressiva nuova, seguendo la quale ha recuperato scatti ai tempi esclusi dal servizio pubblicato, confluiti ora in un libro edito da Taschen e in questa mostra. Gli archivi dei fotografi sono caverne magiche, macchine del tempo all’interno delle quali è possibile continuamente viaggiare: mettere mano a una nuova selezione di immagini vuol dire ritornare sui propri passi, imboccare le sliding doors in un altro senso e provare a seguire una direzione nuova, allora non vista.

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Spray chimici proteggono questo pompiere dal calore delle fiamme. Pozzi di petrolio, Greater Burhan, Kuwait, 1991. © Sebastião Salgado / Amazonas Images / Contrasto

La foto scelta come immagine della mostra ci fa capire bene cosa ora interessi al fotografo brasiliano residente a Parigi: un pompiere -vestito come un astronauta nella sua tuta ignifuga, fermo su quel terreno lunare- viene bagnato da getti di spray chimici per proteggerlo dal calore mentre osserva una colonna di fuoco che si sprigiona dalle rovine liquefatte di un pozzo petrolifero, allagando tutta la zona destra dell’inquadratura. Da una parte un uomo, vestito e illuminato di bianco come un cavaliere, dall’altra una massa circolare di fuoco incandescente, avvolta da spirali di fumo nero che invadono il cielo: non stiamo vedendo una creatura mostruosa, un drago fiammeggiante fuoriuscito dalle viscere della terra, affrontato da un san Giorgio dei nostri giorni, intento a domare la bestia e imbrigliarne di nuovo le energie distruttrici, scatenate dalla violenza degli uomini, ora alla loro mercé? Non è più un reportage che racconta al mondo una delle più spaventose catastrofi ambientali mentre accade, ora a Salgado interessa mostrarci gli eroi di quei giorni, il loro coraggio, la tenacia e la determinazione con cui tecnici, operai e pompieri lottarono (e morirono) per arrestare la fuoriuscita del greggio, spegnere gli incendi e permettere al sole di tornare a splendere.

In un bianco e nero dalle risorse stupefacenti, ora dalla grana polverosa e contrastata, drammatica, ora pastoso e sensuale, Salgado non descrive, celebra con immagini potenti e solenni: non c’è retorica, siamo su un altro piano, capace di rendere presenti e avvertibili sentimenti che siamo oramai disabituati a provare e che l’artista fotografo ci insegna a riconoscere. Sacrificio, coraggio, paura (anche la paura ha la sua gloria: senza paura non c’è coraggio), senso del legame comunitario verso tutti gli uomini: di questo sono fatte le azioni eroiche, oggi come ieri, e queste azioni, per essere riconosciute nel loro valore, pretendono uno stile che sappia essere epico e tragico, evidente a chiunque osservi queste immagini.

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I lavoratori installano un nuovo pozzo. Pozzi di petrolio, Greater Burhan, Kuwait, 1991. © Sebastião Salgado /Amazonas Images / Contrasto

I volti esausti dei tecnici appoggiati alle ruote di un camion in un momento di riposo, completamente ricoperti di petrolio, come guerrieri che attendono la prossima battaglia o i due accanto a una pompa, l’uno di fronte in piedi, l’altro alle spalle dentro la pozza fino al ginocchio, immobili sotto una pioggia nera, su un terreno che non ha più nulla di naturale, sono immagini indimenticabili: la forza e l’armonia della composizione danno un senso universale che le sottrae al tempo e alla situazione contingente, proiettandole in una dimensione perenne. Non pensavamo di poter chiedere questo a una fotografia, ma gli scatti di Salgado non si possono spiegare restando solo all’interno del mondo della fotografia: le sue figure dialogano con tutta la storia dell’arte, la loro consistenza e plasticità richiamano i prigioni di Michelangelo o i borghesi di Calais di Rodin, sono statue di ombra e di luce.

Auguste Rodin, I borghesi di Calais, 1889, Calais

Auguste Rodin, I borghesi di Calais, 1889, Calais

Possiamo leggere le sue immagini alla luce dei generi artistici della tradizione: il ritratto eroico, la scena di battaglia, il paesaggio perfino, perché Salgado sa scovare, nell’inferno di fiamme dove si muove, delle incredibili oasi di relativa pace, dove sembra che il ritmo della natura riesca a fronteggiare la devastazione tutto attorno.

Tutto questo senza dimenticare la sostanza fotografica pura delle sue immagini, l’incantesimo per cui un particolare qualsiasi, anche un brandello di realtà, viene catturato e impresso dalla luce su una pellicola, lasciando una traccia del mondo che ci circonda, minima e misteriosa: come quello smagrito cavallo che si aggira nel parco un tempo verdeggiante alla ricerca di erba e si ferma a guardare il fotografo. Ci sta chiedendo conto di quello che la nostra specie gli ha fatto.

Un cavallo che apparteneva alla scuderia reale cerca erba in un bosco che prima era la sua casa. Kuwait, 1991. © Sebastião Salgado /Amazonas Images / Contrasto

Un cavallo che apparteneva alla scuderia reale cerca erba in un bosco che prima era la sua casa. Kuwait, 1991.
© Sebastião Salgado /Amazonas Images / Contrasto