Quando le battaglie per i diritti si fanno dentro l’esercito

img_3140

Mentre impazzano le critiche sulle dichiarazioni di Donald Trump sull’opportunità di avere soldati transgender, Il governo Sud Coreano sta valutando di rivedere il bando sulla presenza di gay nelle proprie truppe. Negli ultimi mesi lo stato del sud-est asiatico, uno degli 11 più ricchi del mondo, era finito al centro di polemiche per alcuni arresti di soldati accusati di omosessualità. Sebbene avere rapporti same-sex in Sud Corea non sia un reato, i vertici dell’esercito hanno stilato un regolamento che prevede fino a due anni di carcere per chi commette atti di sodomia o “other disgraceful conduct”. La situazione è venuta alla luce quanto uno dei 32 uomini che sono stati arrestati dal momento di entrata in vigore del regolamento ha deciso di raccontare la propria storia alla CNN: facendo leva sulla paura che la sua identità fosse rivelata, è stato costretto a cooperare nelle investigazioni svolte dall’esercito. L’esperienza – ha raccontato il Sergente A. – è stata ai limiti dell’umiliazione. Ma vi è di più. Sembrerebbe che il generale Jang Jun-Kyu, capo dello staff dell’esercito, si sia spinto fino al punto di elaborare un sistema di ricerca, basato su applicazioni esistenti, che avrebbe permesso di scovare i presunti omosessuali.
Eppure – ha rilevato Humans Rights Watch, una delle maggiori associazioni per la tutela dei diritti – il governo Sud Coreano è stato uno dei sostenitori delle politiche anti-discriminazione LGBT* nei programmi delle Nazioni Unite.

Nonostante questo, non più tardi di aprile, l’esercito aveva diffuso un comunicato che precisava che le relazioni tra persone dello stesso sesso sarebbero state punite come condotta disonorevole; il tutto per mantenere sana la comunità militare vista la speciale natura della disciplina. Parole che ricordano tremendamente le frasi del Presidente Trump in merito alle persone transgender nell’esercito degli stati uniti, quel “disagio” che la presenza dei transgender comporterebbe agli altri militari. Posizioni che fanno rimpiangere – ed è tutto dire – il “don’t ask, don’t tell” di Bill Clinton.

Eppure secondo il National Center for Transgender Equality ci sarebbero circa 15.000 transgender in servizio nell’esercito statunitense, oltre a 134.000 veterani. Ma non finisce qui, come ha riportato il Los Angeles Blade la scorsa settimana, la Casa Bianca ha annunciato l’elaborazione di una “Guidance Policy for Open Transgender Service Phase Out” ossia delle misure, non ancora rese pubbliche, che servirebbero a incoraggiare il ritiro dei soldati transgender dalle file dell’esercito così come a non consentire il prolungamento dei loro contratti e a ogni tipi di promozione.
Niente di più lontano dalla lotta a ogni forma di discriminazione, mi vien da dire. Dove il governo della Sud Corea sembrerebbe aver deciso di fare un passo avanti, gli Stati Uniti ne fanno due indietro.