Oceani e plastica: le startup italiane che salvano il pianeta

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Entro il 2050 gli oceani potrebbero contenere più plastica che pesci: è del 2016 il rapporto della fondazione Ellen MacArthur, che ha lanciato l’allarme in modo chiaro, netto e persino doloroso. Che gli oceani fossero in pericolo non era un mistero, e le soluzioni si disperdevano tra le varie cause attribuite: l’overfishing, i cambiamenti climatici, le trivellazioni per estrarre petrolio e gas. Ma è l’inquinamento da plastica che sta andando assumendo connotazioni da emergenza planetaria. Gli oceani producono più del 50% di ossigeno per il pianeta, contribuiscono a regolarizzare l’atmosfera e il clima e i prodotti ittici sono fondamentali per la dieta di circa 3 miliardi di persone. Se consideriamo che ogni anno circa 8,8 milioni di tonnellate di plastica raggiungono l’oceano, diventa chiara l’urgenza di una rete capillare di interventi che coinvolga più paesi e su più fronti.

oceano4L’inquinamento da plastica non è dovuto solo a oggetti di grandi dimensioni, le cosiddette macroplastiche. Esistono anche le micro e le nanoplastiche che sono forse più subdole, perché vengono scambiate per cibo dai piccoli pesci e molluschi e possono finanche raggiungere il nostro piatto, con conseguenze al momento sconosciute.
“Il problema non è tanto nell’uso delle plastiche in sé, ma nel fatto che le plastiche finiscano nei fiumi e nel mare o comunque dove non dovrebbero finire.” A parlare è Fabio Dalmonte, ingegnere e fondatore di SEADS – Sea Defence Solution, startup nata in Italia e sviluppata tra Uk e Italia che sta realizzando un sistema di barriere galleggianti per deviare e raccogliere i rifiuti prima che raggiungano il mare, senza impattare sulla fauna dei fiumi e sulla loro navigabilità. Continua a spiegare Fabio: “Le plastiche hanno caratteristiche fisiche e tecniche che al momento sarebbe difficile rimpiazzare. I polimeri di origine vegetale stanno facendo grossi passi in avanti, ma dobbiamo anche pensare a dove prenderemo la quantità di materia prima per sostituire l’enormità di plastica che usiamo al momento con le plastiche biodegradabili. Questa sarà una possibilità, ma bisogna procedere con cautela, e al momento il problema è stato inquadrato a sufficienza per incominciare ad agire in maniera concreta e implementare soluzioni”.
Sono molti i progetti in atto per la pulizia dei mari: il più famoso è senz’altro quello del giovanissimo Boyan Slat, che a soli 17 anni ha lanciato un crowdfunding per realizzare una macchina capace di pulire gli oceani e in tre anni ha raccolto 2 milioni di dollari. Al momento la sua Ocean Cleanup sta compiendo i primi test nel Pacifico ed è quasi pronta per la prima missione che probabilmente partirà alla fine dell’estate.

oceano3Ma il problema della plastica può e deve essere approcciato anche all’inizio della catena di consumo, con progetti di riciclo e riuso di questo materiale, ma anche di ridisegno innovativo degli imballaggi usa e getta. Greenrail (una delle storie contenute nell’ebook “Capitani Coraggiosi, scaricabile gratuitamente) lo scorso dicembre ha ottenuto la commessa record per una startup di 75 milioni di euro, per realizzare la sua innovativa traversa ferroviaria riciclando plastica e pneumatici. Emersum è una startup comasca che ha creato una fibra di tessuto dal riciclo delle bottiglie di plastica, con cui realizza dei costumi da bagno. La società di servizi Socix, milanese, ha dato vita a un progetto per eventi eco friendly in cui i bicchieri per le bevande sono in plastica riutilizzabile: si paga una cauzione con la prima consumazione e il bicchiere viene restituito alla fine dell’evento. Questi ultimi possono sembrare piccoli gesti, ma sono parte di un processo educativo che dovrebbe insegnare al cittadino a non indignarsi per l’introduzione dei sacchetti biodegradabili nel reparto ortofrutta del supermercato, dato che gli imballaggi sono una parte consistente dell’inquinamento da microplastica che sta lentamente logorando la fauna degli oceani.

oceano2“Penso che la sensibilità su questo tema sia cresciuta e continui a farlo” continua Fabio Dalmonte, “gli impatti sull’ambiente cominciano a essere visibili da chiunque nella vita quotidiana e questo sta portando maggiore consapevolezza, soprattutto da parte delle giovani generazioni. Il ruolo che hanno le plastiche nella nostra vita, la posizione che hanno come prodotto e materia prima del mercato e la quantità di materiale che è in circolazione al momento nell’ambiente non permetterà certo di vedere risultati a breve termine. Per questo è necessario continuare a lavorare alla soluzione del problema, che come spesso accade in situazioni complesse non è una sola. Bisogna agire in ambito legislativo, ma anche e in maniera forte e costante sull’educazione, sensibilizzazione e cambiamento delle abitudini”.

Basti pensare che i rifiuti più diffusi negli oceani sono le bottigliette da mezzo litro. Riutilizzarle sarebbe un piccolo gesto quotidiano per un grande impatto ambientale.