Esiste un “altro” Pride, che scende in piazza a Roma domenica 15 luglio

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Sarà l’occasione per stare tutti insieme, per far sentire la propria voce, per affermare i diritti di chi nasce con una disabilità e di chi, invece, diventa disabile nel corso dell’esistenza. È il Disability Pride 2018, #DisDay, organizzato dall’associazione Disability Pride Onlus che lavora per promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità e per sensibilizzare l’opinione pubblica. L’evento di domenica 15 luglio – la marcia dell’orgoglio – a Roma rappresenta solo il momento clou di una serie di appuntamenti sparsi per lo stivale nel corso dell’anno perché l’attenzione resti alta e non si spengano i riflettori. Il corteo si riunirà alle 17.30 in Piazza della Madonna di Loreto (Piazza Venezia) per poi snodarsi lungo le vie del centro capitolino.

disability2«Lo scopo della manifestazione è quello di mostrare, in maniera chiara ed incisiva, il disagio e il senso di profonda esclusione che una persona costretta a muoversi su una carrozzina prova di fronte alle barriere architettoniche che si trovano quasi ovunque nei luoghi che dovrebbero essere aperti a tutti – scrivono in un messaggio su Facebook gli organizzatori – anche le cose più banali, come andare a fare shopping o prendere una consumazione al bar, diventano pressoché impossibili in un Paese che si ostina a non diventare a misura di disabile».

Dunque, provare a mettersi nei panni degli altri, specie quando questi panni vanno stretti. Lo spiega molto bene anche la scrittrice Simonetta Agnello Hornby, tra i numerosi testimonial dell’evento, con altri big della musica, dello sport e dello spettacolo. Insieme a suo figlio George, ha girato un docufilm in sei puntate “Io&George” (http://www.ioegeorge.rai.it/dl/portali/site/page/Page-95947eeb-a111-4602-ab99-e965237aba93.html) in cui ha raccontato un viaggio non privo di difficoltà, da Londra alla Sicilia, a bordo della carrozzella. George ha la sclerosi multipla ed è diventato disabile in età adulta. Questa storia è entrata anche nel suo ultimo libro “Nessuno può volare” (Feltrinelli, 2017).

Ci sarà anche suo figlio George alla manifestazione di domenica prossima?

«Purtroppo no, per lui viaggiare è diventato molto complicato. Ha i suoi tempi, gli spostamenti sono pesanti da affrontare e da gestire. Io ho deciso di partecipare per sottolineare l’importanza di un evento di questo genere».

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Quanto contano questi eventi per sensibilizzare l’opinione pubblica?

«Tantissimo, direi che sono fondamentali. Anche se avessimo governi veramente sensibili ai problemi e alle difficoltà delle persone con disabilità, oggi il problema è rappresentato dall’esistente. Manca completamente la cultura dell’accoglienza. Ci sono i posti auto riservati, ad esempio, ma sono occupati da chi disabile non è. Ci sono i bagni, ma un disabile non può usarli perché non c’è carta igienica, né il sedile, né sapone. Una volta una signora di un bar mi disse “Ma qui non viene mai nessun disabile”. Anche se dovesse passare un disabile ogni sei mesi, quel bagno dovrebbe essere sempre pronto e il titolare della struttura ha il dovere di allestirlo come si deve».

Che cosa le dispiace e le provoca maggiormente rabbia allo stesso tempo?

«Il menefreghismo dilagante, l’egotismo diffuso ad ogni livello per il pieno del godimento del presente, qui e ora, senza pensare al futuro, né agli altri»

Perché lei, infatti, ha sottolineato che in vecchiaia tutti potremmo diventare disabili…

«Appunto. Ma nessuno ci pensa, sembra che nessuno voglia pensarci, eppure succede. In Italia la popolazione invecchia sempre più e dunque questa possibilità si fa sempre più concreta. E allora che si fa? Come ci stiamo preparando? Sono stati fatti tanti passi avanti, certo, ma è ancora difficile portare un disbile in giro. Io, invece, vorrei portarli ovunque e solo così potremo scuotere le coscienze. In tutti i luoghi di lavoro, nei telegiornali e nei programmi televisivi, nelle redazioni dei giornali e negli enti. È una questione culturale, prima ancora che istituzionale e politica».