Stipendi: più soldi non significa meno gender pay gap

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Forse non lo sapete ma se siete una dirigente donna nel 2017 avete guadagnato circa 14mila euro in meno del vostro collega uomo. Una cifra che corrisponde a un gap salariale dell’11,8%. A dirlo è l’ultimo rapporto sulle retribuzioni in Italia elaborato da OD&M Consulting, società di Gi Group specializzata in hr consulting. L’analisi, condotta a partire da un campione di oltre 480mila lavoratori del settore privato, ha messo in luce come nonostante nel corso dell’ultimo anno gli stipendi degli italiani siano cresciuti, le retribuzioni di uomini e donne continuano ad essere distanti soprattutto quando si tratta di dirigenti.

In particolare dalla ricerca emerge che nel corso dell’ultimo anno sono aumentate le retribuzioni di tutte le categorie: dai dirigenti, fino agli operai, passando per gli impiegati. Nel dettaglio i quadri hanno raggiunto i 60.500 euro di retribuzione totale annua per un aumento medio di categoria del 2,7% rispetto al 2016. I dirigenti hanno invece superato i 129mila euro segnato un +1,3% rispetto allo scorso anno. Aumento simile anche per gli operai con 26.668 euro, in crescita dell’1,2%. Si devono invece accontentare di un +0,9% gli impiegati che nel 2017 hanno incassato 31.198 euro. Anche loro però hanno potuto beneficiare di un generale aumento della parte variabile della retribuzione che nel corso dello scorso anno ha interessato tutte le categorie, raggiungendo il livello più alto degli ultimi cinque anni. Nel caso dei dirigenti questa voce dello stipendio incide per il 13,8% (pari a più di 15.750 euro). Nel caso dei quadri e degli impiegati si scende invece, rispettivamente, all’8,3% (4.660 euro), e al 3,4% (circa 1.000 euro). Subito sotto troviamo gli operai la cui quota variabile incide solo per il 3,2% (circa 800 euro).

Stipendi e parte variabile del salario in aumento non significano però maggior parità salariale. Il miglioramento generale del potere d’acquisto raggiunto nel corso degli ultimi 12 mesi ha infatti interessato solo parzialmente il problema del gender pay gap, come dimostrano i dati sui salari delle dirigenti, ancora molto distanti da quelli dei pari grado uomini. Pochi o nulli miglioramenti anche per le altre categorie di lavoratrici dove lo scollamento retributivo tra uomini e donne è rimasto piuttosto stabile. E se qualcuno potrebbe dire, come recitava un vecchio proverbio, “nessuna nuova, buona nuova”, a noi l’assenza di miglioramenti sembra solo la conferma di un problema contro il quale istituzioni e aziende fanno ancora troppo poco.

Dall’analisi è emerso infatti che lo scostamento tra retribuzioni di impiegate e impiegati è stato anche nel 2017 pari a 12,6%. Una percentuale che nel concreto significa circa 3.730 euro in meno per le donne. Risultati leggermente migliori hanno raggiunto invece quadri e operaie anche se le differenze retributive sono ancora lontane dall’essere annullate. Nel 2017 le dipendenti inserite nella categoria quadri hanno visto diminuire di circa 4 punti percentuali il divario con i colleghi, arrivato a quota 6,2% (pari a circa 3600 euro). Gli stipendi delle operaie si sono invece avvicinati a quelli dei colleghi di 3,6 punti, mantenendo però un divario del 7,4% (quasi 2mila euro). Un risultato ancora piuttosto magro che è stato raggiunto a fronte di un aumento rispettivamente del 5,7% e del 4,5% dei salari di quadri e operaie rispetto al 2016.

Prendere atto dei piccoli progressi è giusto e doveroso ma non è sufficiente. Il divario salaria tra uomini è donne è infatti, come hanno dichiarato le Nazioni Unite, “il più grande furto della storia”. Un furto commesso ai danni di metà della popolazione mondiale visto che secondo l’Onu non esiste un solo Paese né settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini. Gioire perché al ritmo attuale ci metteremo 70 anni a porre fine a questa ingiustizia mi sembra perciò una magra consolazione.