“Esprimi un desiderio!”: sai davvero come si fa?

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“Esprimi un desiderio!”

Quante volte abbiamo detto o sentito questa esclamazione, magari durante una festa di compleanno, oppure quando ammiriamo le stelle cadenti. Ma cos’è un desiderio? E, poi, sappiamo davvero quello che vogliamo?  Forse per gli adulti è più semplice, abbiamo esperienza, conosciamo i nostri limiti e le  nostre difficoltà, i nostri bisogni più profondi e le nostre inclinazioni. Eppure, non è proprio così intuitivo. Occorre una profonda conoscenza del proprio io, della propria personalità e, inoltre, ciò che desideriamo, può non coincidere con ciò che è giusto, oppure con ciò che può apparire giusto per noi. Anzi, molto spesso, finiamo per volere cose che alla fine non ci appagano fino in fondo.

Immaginate di domandare ad un bambino cosa desidera. Cosa si aspetta dalla vita un bambino di dieci anni? Beh, avendo un figlio di questa età, posso tentare di indovinare: lui, ad esempio, desidererebbe giocare sempre, sempre di più. Giocare col suo amato pallone, con gli amici, all’aria aperta e non avere il pensiero dei compiti da fare. Oppure desidererebbe tantissimo viaggiare coi suoi genitori, andare al mare da maggio ad ottobre, mangiare pizza ogni sera, avere un cane.

Desideri banali? Forse. Ma i bambini, si sa, sono molto ancorati alla realtà, al concreto, a quello che accade nell’immediato. Vivono nel presente, nel qui ed ora, e i loro desideri sono frutto del loro breve vissuto, delle esperienze fatte, delle emozioni che hanno provato. Ho pensato a mio figlio, che frequenta la classe quinta della scuola primaria, con un foglio sul banco e la domanda, ormai conosciuta, la Q10 del test Invalsi: “Quali sono le tue aspettative future?”. Mi si è stretto un po’ il cuore a pensare che le risposte a disposizione fossero davvero poche. Un lavoro appagante? Molti soldi? Comprare ciò che vuoi? Guadagnerai abbastanza per vivere? Queste, più o meno, le varianti alle quali assegnare un livello di gradimento.

Insomma, a dieci anni, mi domando se un bambino possa, tra queste affermazioni, trovare e riconoscere quelle che sono le sue aspettative per il futuro, i desideri che ha nel cuore. Credo che nel mondo contemporaneo, ci sia una certa prevalenza del valore che si dà alla quantità. Perfino le competenze scolastiche si sono moltiplicate rispetto a qualche decennio fa e la società diventa sempre più basata sulla prestazione, piuttosto che sulla gratificazione.

locandina-festivalMa qual è il compito della scuola, in questo momento storico e sociale? Secondo me dovrebbe essere proprio la culla della cultura, il luogo d’elezione dove ogni bambino possa sentirsi unico, portatore di doti e talento. La cultura non è un oggetto, non è destinata a scadere e, mentre le informazioni sono destinate ad essere dimenticate, o ricordate non nella loro interezza, la formazione resta. La formazione è un processo che “tira fuori” attraverso l’educazione, la personalità, intesa come l’interezza della persona. Grazie al percorso formativo, non solo, si sviluppa il livello cognitivo dei bambini, ma anche quello affettivo ed emotivo. I bambini devono imparare a conoscere e a desiderare di conoscere, devono toccare con mano cosa è la passione, la motivazione e l’amore per sé stessi e per gli altri.

Il desiderio cosa è? E’ l’insieme di tutto questo ed è la spinta vitale senza la quale non esisterebbe apprendimento. Desidero essere felice, avrebbe voluto scrivere Alessandro, su quel test. Desiderio, felicità, cultura, passione, amore, vita, tempo, empatia, collaborazione: di tutto questo si occupa il progetto “Filosofia coi bambini” attraverso laboratori che attivano la parte più creativa dei piccoli alunni. Un progetto che oggi assume davvero un’importanza fondamentale e che intende promuovere le proprie attività attraverso il primo Festival, che si terrà a giugno.

Imparare a pensare, a riflettere sui grandi temi e su se stessi, cogliere le emozioni proprie e dell’altro, sono competenze che non si valutano con un test a risposta multipla. Sono competenze affettive e emotive che rendono il processo di crescita, più autentico. Introdurre un approccio “filosofico” all’insegnamento, non vuol dire aggiungere un’altra disciplina, un’altra materia da studiare. E’ un modo di operare, nel concreto, in classe, con gli alunni, ogni giorno. E’ un modo di insegnare, di insegnare a pensare. Solo conoscendo se stesso e l’altro nel profondo, il bambino può diventare un ragazzo e un adulto capace di ritagliare il proprio posto nel mondo, capace di comprendere le sue potenzialità, di affrontare le difficoltà, di impegnarsi per raggiungere i propri sogni. Quelli che non possono essere descritti in quattro frasi.