Londra: nel 2021 il più grande museo queer del mondo, ma servirebbe anche in Italia

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L’ultimo a dare il suo sostegno è stato Sadik Khan, il sindaco laburista di origine pachistana, che si è detto favorevole all’apertura a Londra del Queer Britain National Museum, il più grande museo LGBT+ del mondo: “Attendo con ansia l’apertura del nuovo museo […], invierà un messaggio chiaro al mondo, e cioè che Londra è un faro di diversità.”

Parole importanti e per nulla scontante in un momento di chiusura e paura verso ogni differenza, in Europa, ma non solo.

joseph-gallianoIl progetto parte da un’idea di Joseph Galliano, il giornalista e imprenditore inglese che mettendo insieme personalità della politica, dell’attivismo e della cultura, conta di aprire il museo entro il 2021. “Nella letteratura, nello sport, nell’arte, nell’ingegneria, nella scienza, non c’è alcun aspetto della vita in Gran Bretagna in cui le persone LGBT+ non abbiano avuto influenza. È ora che le loro storie siano raccontate e celebrate”. Un vero e proprio museo Nazionale dunque, che ripercorra e spieghi a tutti la storia di una nazione, l’Inghilterra, che ha punito l’omosessualità come un reato fino al 1967, facendo “vittime” illustri come Alan Turing e Oscar Wilde. E proprio la porta della cella in cui fu incarcerato quest’ultimo per “l’amore che non osa dire il suo nome”, dovrebbe essere tra i pezzi più importanti e suggestivi della nuova esposizione.

Quello di Londra non è l’unico museo dedicato alla storia e alla vita delle persone LGBT+. Dal 1985 esiste a Berlino lo Schwules Museum, uno dei più importanti a livello mondiale per quel che riguarda mostre, archiviazione e la trasmissione della cultura queer tedesca e non solo. L’altro museo dedicato alla storia queer si trova a San Francisco, patria morale delle lotte LGBT+. Aperto nel 2011 rappresenta ad oggi un punto fondamentale per capire come e perchè è cominciata la rivendicazione, e come e perchè, dagli Stati Uniti si è propagata in ogni angolo del pianeta.

“Perchè un museo dedicato alla storia e alla comunità queer?” ci si potrebbe chiedere; “che bisogno c’è di raccontare in fondo quello che è solo un “dettaglio” della vita di una minoranza di persone?”. Rispondere a queste domande significa credo avere capito due cose. La prima, che un museo non è semplicemente una carrellata di oggetti e opere di cui contemplare bellezza e significato a sè. Un museo è un’esperienza temporale, storica, culturale. Umana perchè parla degli uomini e di ciò che hanno visto, vissuto, creato e immaginato. Dei sogni e degli incubi. E’ un’esperienza “estetica” nel senso più ampio e novecentesco del termine, come esperienza del sentire le forme e il tempo, per capire le forme e il tempo. La seconda, che l’orientamento sessuale di una persona non è un dettaglio, ma uno degli assi principali su cui ogni vita si costruisce e costruisce ogni valore e relazione umana, singola o collettiva. Su cui ogni vita si spiega anche in base a ciò che è stata ed ha prodotto.

Finisco di scrivere queste considerazioni, e mi rendo conto inevitabilmente di quanto sarebbe importante, proprio per questi motivi, avere anche in Italia un museo che racconti la storia, la vita e l’evoluzione delle persone LGBT+. Per rendersi davvero conto di come la storia di questo Paese sia stata scritta, anche in pagine fondamentali, a più voci. Non tutte ascoltate, ed anzi, alcune volutamente per anni, secoli ignorate. Così forse potremmo ritrovare le vite degli omosessuali deportati nelle miniere in Carbonia durante il fascismo. Dei tanti registi, scrittori, attori, compositori, cantanti che hanno accompagnato la nostra vita. Non per dire che erano migliori, ma per dire finalmente in onestà chi erano. O la vita delle tante persone comuni, divenute speciali per avere scelto di non nascondersi quando “nascondersi” era una regola dalle conseguenze dolorose, se disobbedita.

Potremmo capire meglio la storia di quel Leonardo, genio e dono all’umanità, e di Gian Giacomo Caprotti, soprannominato da lui “Salai”, per via di quel suo essere un diavolo in grado di combinarne sempre una. Allievo e complice di una vita, quasi taciuto dalle biografie per secoli. Oppure ancora raccontare il suo altro grande legame, quello con Francesco Melzi, allievo, pittore, pupillo, compagno, con lui fino alla morte nella lontana Francia, e che da Leonardo ereditò tutto. Forse anche quegli appunti e bozzetti ai cui margini si dice scarabocchiasse continuamente genitali maschili.

Difficile dire se tutto questo accadrà un giorno. Difficile soprattutto in un Paese che definisce strumentalmente come proselitismo l’educazione alle differenze.

Chiudo con un ricordo. 23 gennaio 2016: manifestazione nazionale Svegliati Italia per chiedere l’approvazione delle Unioni Civili, strozzate dalle lotte intestine del Senato. A Milano la manifestazione si tenne in una traboccante Piazza della Scala. Via social, il giorno dopo scrivevo questo pensiero:

“In piazza della Scala c’è la statua di Leonardo Da Vinci. Un genio che mi rende fiero del mio Paese solo nominandolo. Un omosessuale che fu arrestato (e poi rilasciato) a Firenze per sodomia. Un uomo a cui l’umanità deve gran parte del suo progresso, in ogni direzione, scientifica, filosofica, artistica. Umana. Un uomo che finì gli ultimi sui giorni accudito dal suo compagno, Francesco Melzi. Senza che il loro legame avesse alcun valore pubblico, sociale. Ufficiale. E’ bello, dopo quasi 500anni, che ci fosse anche lui, in quella piazza ieri. Mi piace pensarlo con noi, a urlare a chiedere rispetto e dignità, uguaglianza. Diritti all’amore.”.

Un museo servirebbe anche a questo. A capire il valore di una statua, apparentemente per caso, in una piazza molto molto affollata.