Quattro profezie sul futuro del lavoro

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Mi piace pensare che Blade Runner 2049 è – ancora di più dell’originale di Ridley Scott – la proiezione del mondo che verrà. Quello in cui vivranno i miei nipoti, e che forse anche i miei figli potrebbero fare in tempo a vedere. Prima del 2049 però bisogna passare per il 2025, quando l’Unione europea stima che ci serviranno 7 milioni di nuovi lavoratori nel segmento Stem: scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Ma che mondo del lavoro ci aspetta, per questa – o al più tardi per quell’altra – data?

Stephane Kasriel, non necessariamente in quest’ordine di importanza, è il padre di quattro figli, il Ceo del sito di freelance Upwork nonché il copresidente del Council on the Future of Work, Gender and Education del World Economic Forum. E proprio al think-tank di Ginevra consegna le sue quattro previsioni per il mondo del lavoro che verrà.

La prima: l’intelligenza artificiale non creerà una nuova schiera di disoccupati. Qualcuno dovrà pur fare i robot, le macchine non si costruiscono da sole. A mancare, insomma, non saranno i posti di lavoro, ma le competenze necessarie a supportare nuovi professionisti. Ed è su queste che Paesi e istituzioni dovranno lavorare.

La seconda: non si sceglie più la città giusta per lavorare, ma quella più giusta per vivere. Grazie alle nuove tecnologie, il lavoro del futuro sarà sempre più un lavoro in remoto. A quel punto, vivere a 10 chilometri dal quartier generale aziendale oppure a 1000 chilometri di distanza non farà più alcuna differenza. Ecco che allora le città competeranno fra di loro, per attrarre i cittadini, non tanto mettendo in vetrina le aziende che ospitano, ma i servizi e la qualità della vita che possono garantire.

La terza: il lavoro di domani ha bisogno di un sistema scolastico nuovo. I set di nozioni non servono più, quelle si possono reperire velocemente googlando su internet. Serve la capacità di mettere insieme le conoscenze, di elaborare esperienze. Serve un nuovo metodo di studio, per questo nuovo metodo di lavoro.

Infine, la quarta: se il posto di sarà in remoto, l’inquadramento del lavoro sarà autonomo. Si sta per aprire l’era del freelance, sostiene Kasriel. Qui, però, la mia sensibilità non mi fa più apprezzare la visione di questo film sul mio futuro e mi costringe al fermo immagine. E tutte le conquiste del diritto sindacale, che fine faranno, se il mondo del lavoro del 2049 sarà atomizzato?

  • Erika Ranfoni |

    Io penso che il concetto di lavoro autonomo non sia un male. Autonomia tutelata nei diritti è il futuro. Ma autonomia significa libertà e creatività. Io penso, da docente, che la scuola sia lontana anni luce da questo mondo. Il corpo docente vede il progresso come un male capitalista, punto. Quindi educa i ragazzi al concetto anacronistico di cultura e non di competenza.

  • Stefano Ciccarelli |

    Una delle potenziali soluzioni necessarie a stimolare la formazione e le competenze potrebbe essere il reddito di formazione

    A tal proposito consiglio il libro gratuito Manifesto della Geniocrazia su http://ciccarellistefano.com/Geniocracy/

  • Umbe |

    …atomizzato…
    Ha presente cosa possono fare gli atomi messi insieme ?
    Il duomo di Milano…
    La voce di Pavarotti…
    Le curve di…

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