Giovani, i nuovi poveri in Italia

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I giovani sono i più colpiti dalla povertà. A dirlo è il recente Rapporto sulla povertà della Caritas Italiana che restituisce una fotografia preoccupante del nostro Paese: la povertà infatti è un fenomeno più pervasivo e diffuso rispetto agli scorsi anni. Inoltre, come si diceva, il dato allarmante è che le persone più penalizzate non sono solo gli anziani, i pensionati, come nel passato, ma i giovani. E mentre in Europa la povertà giovanile è in declino, in Italia è in aumento (dal 2010 al 2015 si riscontra un incremento del 12,9%).

Nel 2015 (ultimo anno disponibile per questo tipo di dato fornito dall’Eurostat) spicca la presenza di oltre 117 milioni di europei a rischio di povertà (23,3% della popolazione complessiva legalmente presente nell’UE a 27 paesi, al primo gennaio 2016). In Italia, il numero totale di persone nello stesso tipo di condizione è di 17 milioni 469mila (28,8% della popolazione), di questo esercito quasi 2 milioni sono giovani.

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Solitamente erano gli anziani, i nuclei con disoccupati e le famiglie numerose ad essere povere ma oggi la Caritas rileva una tendenza inversa proprio all’età: più si abbassa l’età, più aumenta la povertà. Sono i giovani (under 34) a vivere la situazione più critica e più allarmante di quella vissuta un decennio fa dagli ultra-sessantacinquenni. La crisi economica ha colpito tutti ma sono stati i giovani ad essere più penalizzati: oggi i nipoti sono più insicuri e poveri rispetto ai loro nonni e anche i figli lo sono rispetto ai propri genitori. Anche in prospettiva i figli finiranno la loro vita più poveri dei loro padri.

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Questa nuova povertà dei giovani pesa di più rispetto a quella degli anziani perché ha maglie più larghe e colpisce un intero ecosistema. Un giovane povero è un giovane che non investe nell’educazione, che non può permettersi uno sport, che non va in vacanza. E’ un giovane che ha scarse possibilità di trovare un lavoro, uscire dalla propria casa di origine e fare famiglia. E’ quello che a livello europeo viene chiamato il fenomeno dei NEET, giovani privi di lavoro e fuori dal circuito educativo: l’Ocse stima che uno su tre vive ai margini della società.

I giovani che lavorano hanno anche un salario più basso rispetto a quello delle generazioni precedenti e anche questo fattore contribuisce ad una penalizzazione nei progetti di vita che oggi sono incerti e con tappe più diradate nel tempo rispetto al passato. La profonda recessione e il lento recupero dopo la crisi finanziaria del 2008 sono le cause primarie di questo fenomeno ma anche i cambiamenti del mercato del lavoro, il calo demografico che sta portando all’invecchiamento della popolazione e la riduzione del nucleo familiare. Questo circolo vizioso vale a livello globale ma l’Italia è uno dei Paesi più colpiti perché in altri Stati, come ad esempio la Svezia, sono state introdotte delle misure specifiche per incoraggiare i giovani allo studio e incrementare opportunità di lavoro di qualità e con salari equi.

L’impatto della povertà giovanile è quindi molto più ampio e il divario intergenerazionale in termini socio-economici penalizza i giovani nel nostro Paese a favore delle persone più anziane, meglio retribuite e con maggiori livelli di protezione sociale. Lo hanno capito anche gli stranieri: non solo i flussi migratori verso il nostro paese stanno diminuendo ma sono tanti gli stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese, nel 2015 sono stati 44.000, il triplo rispetto a nove anni prima.  Non solo gli stranieri ma anche i giovani che emigrano: nel 2016 73.000 giovani diplomati e laureati hanno abbandonano l’Italia ritenendolo un Paese per vecchi che perde il capitale umano più importante, quello dei giovani.

L’Italia si trova quindi di fronte ad una situazione drammatica: ha tanti anziani da proteggere e pochi giovani sui cui puntare. E i primi sono sempre al centro del dibattito politico e ben rappresentati invece i secondi versano nell’indifferenza più generale.

  • Boso |

    Smettiamo di votare per degli inetti privi delle competenze, del discernimento e delle doti necessarie per governare un paese che ha grandemente partecipato a scrivere la storia dell’UMANITÀ. Carlo Boso

  • Alessandro |

    Avevo 21 anni quando nel 2008 la crisi mondiale colpì l’Italia… lavoravo da poco, ma subito capii che non sarebbe stato facile riprendersi da quel colpo… sopratutto a livello lavorativo… la società per cui lavoravo andò subito in fallimento… ne stiamo pagando ancora le conseguenze, e chissà ancora per quanto tempo.

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