Cinzia: “Quanta paura mi ha fatto compagnia nel diventare mamma”

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Cara Alley,

Una delle attività preferite dei miei bambini – che hanno due anni e tre mesi e sono fratelli gemelli – è giocare con le calamite attaccate al frigorifero della nostra cucina. Ne abbiamo un discreto numero: si sono accumulate nel tempo, con il susseguirsi di gite e vacanze. Sempre scelte con cura, in base al gusto estetico e alla tipicità del luogo di cui sarebbero diventate un divertente souvenir. Non appena i miei bambini hanno avuto accesso alla cucina, le calamite sono diventate per loro una vera e propria attrazione e – per me – un’attività con cui insegnare parole e trasmettere concetti. La zebra dal Kenya, la barca a vela da Rimini, la tartaruga da Lampedusa, la conchiglia dalle Seychelles, la stella marina da Zanzibar, il vulcano dalle Eolie…insomma, un catalogo di soggetti multiforma e variopinti da chiamare con un nome preciso e facile da ricordare. Quale nome dare invece alla piccola icona lignea di Alonissos raffigurante la Madonna con in braccio Gesù Bambino? “E’ una mamma con il suo bambino” ho detto con semplicità, provando tenerezza per quella figura di donna, moglie e madre così radicata nel nostro immaginario collettivo.

Chi è una mamma con il suo bambino?
Apprendere di essere incinta di due gemelli è stato uno shock. Nei primi due mesi dell’attesa rientravo a casa dal lavoro, la sera, e mi sedevo sul divano, davanti alla tv, in stato di trance. Ero terrorizzata. Come avrei potuto occuparmi di due neonati, io che ero stata a lungo lontana dal desiderio di essere madre? Chi mi avrebbe aiutato a sapere cosa fare, come prenderli in braccio, come farli addormentare? Come avrei sostenuto questi due nuovi sguardi su di me, un po’ insicura delle mie capacità, della mia bellezza… I pensieri correvano avanti giorno dopo giorno, sin verso il momento del rientro al lavoro. Mi pareva impossibile da realizzare: nido o tata? E a quali costi?
Quanta paura mi ha fatto compagnia in quelle serate di solitudine. Avrei potuto condividerla con mio marito, se non fosse stato per quel permanente senso di colpa che teneva insieme i miei pensieri e mi inibiva dal comunicarli. Mi giudicavo, e giudicavo le mie emozioni come disdicevoli, perché una donna che sta per diventare madre non può che essere felice e vivere l’attesa in totale spirito di accoglienza.

Quando una domenica di luglio “gemello 1” ha deciso di nascere con un anticipo di sei settimane, sulla barella che mi portava in sala parto la paura ha rotto il silenzio. “Ho paura, sto per avere due bambini, non ho la mamma, come farò da sola?”. Dell’equipe che in tempi rapidissimi mi stava preparando al taglio cesareo era rimasta con me solo un’infermiera: con una mano mi regalava una carezza, con l’altra estraeva dalla tasca carta e penna per annotarmi nome e numero di telefono di Daniela. “E’ un’ostetrica bravissima. Chiamala se hai bisogno.”

Poi è cambiato il mondo. Sono arrivati i bambini, nei lunghi mesi in cui notte e giorno non si distinguevano più, ho capito che l’annullamento improvviso di qualsiasi forma di strutturazione del tempo può farti perdere l’equilibrio e che era quindi fondamentale mantenere invece il contatto con la realtà e le sue regole. Così cercavo di inventarmi dei piccoli riti con cui scandire l’alternanza giorno/notte, settimana/week end. Vietato venire a mancare, impossibile “stare spenta” con due creature totalmente dipendenti da me. La prima volta in cui sono uscita di casa lasciando i bimbi con la baby sitter camminavo per la strada piangendo: dovevo e potevo fidarmi di questa meravigliosa ragazza che da mesi mi aiutava, ma è stato enorme lo sforzo emotivo che ho fatto quel giorno per accettare di lasciare i miei bambini con una persona “estranea”.

Sono passati 27 mesi dalla nascita dei miei bambini, 34 dal loro concepimento. Nel frattempo sono riuscita a surfare nel mare delle paure scendendo a riva ogni volta più forte, più consapevole. Sono rientrata al lavoro (su questo passaggio mi riservo un secondo post), i bimbi frequentano un nido meraviglioso e la tata che li va a prendere sta con loro fino al mio ritorno a casa – una vera figura aiutante nella mia vita.
Grazie alla mia intelligenza, all’amore e alla presenza di mio marito e a tutto il bene che è arrivato dai miei due splendidi bambini sto costruendo pezzo dopo pezzo un significato di maternità solido e autentico.

Sono molte le neomamme e le mamme in attesa, alle prese con paure e sensi di colpa, specie in quelle realtà dove non esiste un contesto famigliare femminile allargato, capace di assorbire quel senso di spaventosa sorpresa che ogni neonato porta con sé. Aiutarle a riconoscere la legittimità di questi sentimenti credo possa favorire il superamento della solitudine e il benessere delle mamme, che non sono un’icona di imperturbabile pace ed equilibrio. Madre si diventa.

Cinzia Storti

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