Come vivono il lavoro i giovani?

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I giovani della Generazione Z, i ragazzi e le ragazze nati tra il 1995 e gli anni 2000, stanno disegnando un nuovo concetto di “vivere il lavoro”. Questi ragazzi, la cui maggioranza sta ancora studiando, sono profondamente diversi dai fratelli maggiori, i Millennials, perché sono più giovani e sono i veri “nativi digitali”. Ed è come se questa nuova era li avesse già plasmati, definendone aspirazioni e priorità.

Il confine tra vita e lavoro non è delineato in modo così netto perché gli strumenti tecnologici sono talmente invasivi che accorciano ogni distanza. Per questo le loro aspettative sono di lavorare in un contesto integrato alla propria vita e questo vorrà dire che i piani di sviluppo delle persone, oltre ai consueti progetti di crescita di competenze, ruolo e carriera, dovranno prevedere anche iniziative di crescita personale come sport, famiglia, amici, volontariato. L’iper personalizzazione che il mercato digitale consente si riflette anche nella Gen Z al lavoro: nessun approccio standard può funzionare per loro a partire dalla descrizione di una mansione che saranno i ragazzi a definire e cambiare se necessario.

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I giovani non sono lontani dal lavoro. Sono lontani dalla concezione del lavoro di un Baby Boomber o di una persona della Generazione X. La cosiddetta “gig economy”, l’economia dei lavoretti in cui soprattutto i ragazzi possono mettere a disposizione le loro competenze su piattaforme digitali per piccoli lavori su chiamata, sta avvicinando molto di più di quanto possiamo pensare i giovani al lavoro. E’ un lavoro veloce, discontinuo, basato sulla propria motivazione e tempo ad eseguirlo. E’ un’organizzazione del lavoro diversa da quella che si trova nelle imprese anche se le società più innovative stanno sperimentando approcci simili per essere più competitive ed attrattive.

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Anche le modalità in cui i ragazzi scelgono l’educazione sono cambiate. A livello globale la domanda di Master e MBA è in declino a favore di tantissimi corsi online, come i MOOC, sviluppati dalle stesse Università che permettono una fruizione più libera e autonoma. In questa nuova era anche le competenze diventano più velocemente desuete per questo l’unica modalità di aggiornamento sembrerebbe quella online. C’è anche un altro fattore in crescita, i periodi sabbatici spesso presi tra l’ultimo anno di scuola superiore e l’Università. Ne è modello Malia Obama, che è stata ammessa a frequentare la prestigiosa università di Harvard, ma prima ha preso un anno sabbatico, che ha investito come volontaria in Sud America e poi come stagista in una casa di produzione cinematografica. In un recente saggio di Jonah Stillman sulla Generazione Z, è riportato che il 75% dei ragazzi americani crede che ci siano altri modi per ottenere una buona istruzione piuttosto che andare al college. In Italia questi periodi di viaggio/studio/lavoro non sono ancora diffusi a causa di un mercato del lavoro che genera sfiducia nell’intraprendere un percorso del genere. Questi periodi di pausa rappresentano ancora una volta la stretta connessione di vita e lavoro della Gen Z. La vecchia questione se si lavora per vivere o si vive per lavorare, per i ragazzi non si pone più: si vive il lavoro punto e basta.

  • luciana Redi |

    Tutto vero bisogna solamente prenderne atto e agire di conseguenza.

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