La nonna di Berlino che combatte il razzismo cancellando svastiche

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Raschietto, acetone, bomboletta spray, diario di bordo e macchina fotografica: con evidente orgoglio Irmela Mensah-Schramm dispone la sua attrezzatura sul tavolo di un bistrot vietnamita nel quartiere di Zehlendorf a Berlino. Poi si mette tranquilla e inizia a sorseggiare una limonata fatta in casa. È strano vederla seduta e composta. Chi conosce le sue imprese sa infatti che Irmela non gradisce stare con le mani in mano: il suo posto è là fuori, dove da oltre trent’anni, su e giù per la Germania, contribuisce a ripulire il mondo dall’odio rimuovendo qualsiasi adesivo e graffito a sfondo razzista, neonazista o xenofobo trovi sul suo percorso. Irmela ha 72 anni, porta i capelli a caschetto, lisci e bianchi e indossa occhiali sottili dalla montatura tondeggiante che fanno a pugni con il registro colorito con cui si esprime. Il suo entusiasmo è tanto travolgente che seguire il suo racconto è difficile a causa dei continui salti temporali che impartisce alla narrazione. Ha l’aria di chi non intende fermarsi davanti a niente e a nessuno, che si tratti di poliziotti in tenuta antisommossa, di una banda di neonazisti o di una denuncia per danni materiali per aver dipinto un cuore rosa sopra una svastica nera disegnata su un muro. «Nulla mi spaventa. Se necessario andrò anche in prigione, ma non intendo fermarmi»: così si era espressa in occasione dell’ultimo processo, poi sospeso, che l’aveva condannata a una multa di 1.800 euro per aver modificato con una bomboletta spray un graffito che polemizzava contro la politica dell’accoglienza di Angela Merkel auspicando la morte della cancelliera. Al giudice che l’accusava di non mostrare pentimento, Irmela aveva rinfrescato la memoria snocciolando i riconoscimenti collezionati negli anni per il suo coraggio civile. Persino alle minacce di morte ricevute da estremisti di destra ha reagito con sguardo fiero e sorriso beffardo, un atteggiamento che ha colpito anche il regista italiano Vincenzo Caruso che sulla storia di Irmela ha girato un documentario dal titolo The Hate Destroyer, presentato al Festival Biografilm 2017 a Bologna dove si è aggiudicato il Premio Ucca.

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«Quando mi imbatto in un adesivo o un graffito dal contenuto violento e penalmente rilevante, lo rimuovo oppure lo modifico in modo creativo cercando di trasformare l’odio in amore o perlomeno in rispetto e stimolare così la riflessione»: con queste parole Irmela illustra la tecnica alla base dei suoi interventi nello spazio urbano. La accompagniamo in un giro di ricognizione per le strade di Berlino. Di tanto in tanto un adesivo o un graffito salta all’occhio allenato di Irmela, che si ferma a esaminare da vicino. Se i sospetti sono confermati, estrae il raschietto, rimuove lo sticker e lo inserisce nell’album. Nel frattempo racconta: «Tutto ha avuto inizio una mattina del 1986, quando fuori dalla porta di casa ho notato un adesivo che invocava la libertà per il nazista Rudolf Heß, all’epoca ancora in vita e detenuto a Berlino. Immediatamente sono stata colta da un accesso di rabbia mista a indignazione, ma non ho avuto la prontezza di intervenire subito. Il pensiero di quell’adesivo mi ha tormentato per tutta la giornata. Quando al mio ritorno l’ho ritrovato dove l’avevo lasciato qualche ora prima, ho avuto una folgorazione: senza fare nulla non si può cambiare nulla. Così mi ci sono avventata contro e ho cominciato a grattarlo via con la chiave di casa finché non ne è rimasta traccia. Sono passati 31 anni, ma ricordo ancora la sensazione di sollievo di quella sera. Fino ad oggi, con gli adesivi rimossi e rimasti integri, ho riempito 91 raccoglitori. Fotografo anche ogni graffito che trasformo. Sento il bisogno di documentare ogni cosa e mostrare al mondo i miei ritrovamenti, veri e propri reperti storici del tempo in cui viviamo» spiega Irmela, che ha già esposto il suo materiale in due mostre in Germania.

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«Di solito riesco a esporre solo in luoghi dove la xenofobia non è così pervasiva, mentre dove ce ne sarebbe più bisogno, per esempio in Turingia, Sassonia o Baden-Württemberg, non vengo considerata. Purtroppo la gente non vuole vedere queste cose. Preferisce nascondere la testa nella sabbia per paura. Inoltre in Germania si tende a dare più risalto a iniziative storiche rispetto a quelle che tematizzano il presente: si parla più volentieri del nazismo che di Pegida o AfD (movimento antislamista e partito di estrema destra ndr). Allo stesso modo, quando qualche anno fa morivano persone per mano dell’NSU (movimento terrorista di matrice neonazista ndr), i più si giravano dall’altra parte e minimizzavano la vicenda definendola una ragazzata. Questa consapevolezza mi dà la forza per continuare».

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Irmela ci racconta delle reazioni della gente alla sua attività: «C’è chi mi sostiene inviandomi lettere, mail o contributi in denaro: a seguito del processo, una coppia lussemburghese mi ha regalato un abbonamento annuale illimitato per la ferrovia tedesca del valore di oltre 4.000 euro. C’è chi mi accusa di essere peggio dei nazisti se dipingo sulle svastiche anziché rimuoverle. Ho ricevuto perfino qualche minaccia di morte che ho subito denunciato: in fondo si tratta di codardi. C’è infine chi è completamente indifferente e non comprende perché mi dia tanto da fare. Molti si riempiono la bocca di parole come tolleranza e solidarietà, ma la verità è che pochi si impegnano davvero».

«Una delle cose che mi rende più fiera è di essere riuscita a coinvolgere molte donne anziane che ora seguono la mia scia. Trovo fantastico che in tante si siano procurate delle bombolette spray. Il nostro contributo è fondamentale: infatti, a differenza dei giovani corriamo meno il rischio di venire criminalizzate» racconta Irmela, che è stata una fonte d’ispirazione anche per il regista Vincenzo Caruso, che nel documentario The Hate Destroyer riconduce le radici del suo impegno civile a un passato complicato e sofferto: «Trovo che il coraggio di Irmela sia una cosa rara. Spesso lottiamo per le cose che vogliamo, ma quasi mai per quelle che non vogliamo. Abbiamo perso il senso del disgusto, del rifiuto. Lasciamo che le cose accadano oppure non le vediamo perché non ci riguardano direttamente. Spero che il film su Irmela possa risvegliare qualcosa nella gente, perché la protagonista è una persona normalissima in cui identificarsi, una donna che lotta su due fronti, contro il razzismo e contro i propri demoni».

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