Trump presidente anti-gay: sì al diritto di discrimare per motivi religiosi

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Ve la ricordate Kim Davis, l’impiegata comunale del Kentucky che non accettava le richieste di matrimonio same sex in quanto fedele alla dottrina della chiesa? Per lei la sentenza della Corte Suprema Americana che dal 2015 obbliga tutti gli Stati a celebrare le nozze omosessuali, non aveva alcun valore rispetto alla “legge di Dio”, e perseverò a tal punto che un giudice federale ne dispose l’arresto.

E Jack Phillips? Il pasticciere cristiano del Colorado che sempre per motivi religiosi si rifiutò di preparare la torta nuziale per una coppia di uomini? Anche lui fu denunciato e condannato per aver violato le leggi antidiscriminazione, e negli anni ha perso ricorsi su ricorsi con ogni tribunale, fino ad arrivare alla Corte Suprema.

Ecco, diciamo che se fino a ieri chiunque avesse voluto seguire il loro esempio avrebbe avuto la certezza di andare incontro alla stessa sorte giudiziaria, oggi, grazie al presidente Trump, potrebbe non essere più così.

In linea con quella che è stata l’azione della sua amministrazione fin dall’inizio (e cioè cancellare ogni politica a favore dei diritti lgbt portata avanti da Obama), l’ultima direttiva emessa dal procuratore generale Jeff Sessions, sollecita le agenzie governative a fare il possibile per soddisfare proprio chi rivendica la violazione delle proprie libertà religiose. Nello specifico, il provvedimento si potrebbe tradurre nella possibilità per i futuri Jack Philips e Kim Devis, di eludere per motivi religiosi le leggi e le tutele antidiscriminazione che fino a ieri gli hanno impedito di perseverare nelle discriminazioni contro le persone lgbt.

Afflitto da un indice di gradimento praticamente in caduta libera (attualmente attestato ad appena il 39%), questa sembrerebbe l’ennesima mossa del presidente più anti-lgbt della storia americana, per accontentare ancora una volta le istanze omofobiche di quella parte di elettorato religioso integralista che lo sostiene da sempre, in particolare gli evangelici.

Un tema quello della “obiezione di coscienza” per motivi di fede che ben conosciamo anche qui in Italia, dove alcuni sindaci, conservatori ed estremisti, hanno “tentato” di non far celebrare le Unioni Civili nei propri comuni o di celebrarle in maniera “minore”. Fortunatamente, gli obblighi costituzionali che li vincolano ad eseguire e rispettare la legge, non hanno mai realmente permesso che ciò avvenisse o comunque restasse impunito. Ma le possibilità che qualcuno usi la fede per discriminare i cittadini lgbt sono sempre in agguato, ovunque.

Affidandosi alla logica, la questione sarebbe molto semplice. Nessuna norma antidiscriminatoria e legge a favore dei diritti lgbt potrebbe mai essere realmente efficace se, tra le possibilità di non rispettarla, venisse riconosciuta legalmente la motivazione religiosa: cioè quella per cui sostanzialmente tali discriminazioni avvengono. 

E’ esattamente per questo motivo infatti che in Italia la legge sull’omo-trasnsfobia è ferma al Senato, giudicata inutile dalle stesse associazioni dopo l’approvazione alla Camera del “sub-emendamento Gitti”. Emendamento secondo il quale “non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto”.

Un po’ come dire che nessuno può discriminare le persone di colore, a meno che non faccia parte di gruppi politici o religiosi che sostengono la supremazia della razza bianca. Un salvacondotto a discriminare per motivi religiosi o ideologici, che se approvato in via definitiva, sarebbe simile (negli effetti) a quello stabilito dell’amministrazione Trump.

Che proprio negli Stati Uniti, dopo il faticoso avanzamento dei diritti civili degli ultimi anni, sia bastato un cambio di presidente per vedere in pochi mesi questo repentino arretramento, dice chiaramente una cosa. E cioè che per quanto sia diffuso il terrore verso una cultura religiosa integralista straniera pronta a privarci delle libertà conquistate, nelle democrazie occidentali il grande pericolo per i diritti viene principalmente dall’interno. E’ rappresentato da quella incompiuta secolarizzazione, emancipazione del potere politico, della società e delle istituzioni dall’influenza della religione. Qualunque religione.

Fino a quando questa maturazione collettiva del sistema non si completerà, a poco servirà caricare di terrore un velo che viene da lontano se un ospedale cattolico americano potrà magari rifiutarsi di assistere un omosessuale, o un’impiegata comunale potrà per motivi di fede non accettare richieste per matrimoni same sex, rimanendo impunita. Eventi che con la direttiva pro discriminazione emessa dal procuratore generale potrebbero diventare tutt’altro che rari.

Il pericolo purtroppo riguarda tutti, ed è quello di essere accecati dalle minacce esterne dimenticandosi di vigilare su quelle interne, dando per scontate libertà conquistate che i nostri stessi concittadini, e non dei terroristi invasori, sono invece pronti a toglierci. Un po’ quello che è avvenuto ad una parte della comunità lgbt americana quando ha sostenuto l’elezione di Trump.

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Ma gli Stati Uniti sono il Paese dove il movimento omosessuale è nato, e non sarà un presidente anti-gay a cancellare la voglia di difendere ciò che in molti anni di battaglie si è conquistato. Lo riassume bene una frase che chiude il primo episodio della nuova stagione di una delle serie queer più amate nel mondo: Will & Grace. E’ scritta su un cappellino che Grace, una delle protagoniste, “dimentica” proprio sulla poltrona del presidente nella Sala Ovale, e dice così: “make America gay again”.

Più che un auspicio, ha tutta l’aria di essere una promessa.

  • Re Giovanni |

    Purtroppo, da sempre, il potere temporale delle religioni ha ostacolato la completa realizzazione di stati laici.

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