I viaggi organizzati dagli Usa per i leader di domani, perché hanno un senso

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Mahmoud è un ragazzo, o forse sarebbe meglio dire un uomo, silenzioso. Professore all’Università di Assuan, una città egiziana di circa 200mila abitanti sulla riva est del Nilo, è impegnato da anni nella promozione di diritti civili nel suo paese. Proprio per questo lo scorso settembre, come me, è stato uno dei 20 partecipanti all’International Visitor Leadership Program (in breve IVLP) dedicato alla ONG. Lanciato nel 1940 e organizzato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Bureau Educational and Cultural Affairs, l’IVLP è un programma di scambio volto a consentire ai visitatori – più di 4.500 all’anno – di osservare molti aspetti delle istituzioni politiche, economiche, sociali e culturali americane e il loro modo di operare.

L’IVLP, a cui ho partecipato, era dedicato alla società civile e mi ha permesso di visitare una quarantina tra organizzazioni, istituti e fondazioni che si occupano di diritti civili, ambiente, cultura, salute, solo per fare alcuni esempi. Un programma molto fitto, un’esperienza unica che mi ha dato modo non solo di comprendere come il settore delle ONG si sia evoluto e operi in un Paese, a livello di stato sociale, così diverso dall’Italia, ma perché mi ha consentito di condividere la mia esperienza con persone provenienti da tutto il mondo, in un intreccio di espressioni, modi di dire, pensare e operare che non avrei potuto nemmeno immaginare. Paesi così diversi tra loro – Sri Lanka, Ungheria, Ruwanda, Olanda, Giamaica per citarne solo alcuni – hanno aperto i loro cancelli e hanno fatto fluire verso di me, che vengo da una piccola città della Brianza (rinomata, si sa, per essere super-progressista!), un melting-pot di culture e di idee che mi ha attraversato come una scossa elettrica lunga tre settimane.

Ho conosciuto Carolina, avvocata cilena che difende i diritti delle donne oggetto di violenz; Tilahun che, con il suo sorriso senza tempo, lavora in Etiopia con i bimbi orfani; ho accusato lo sguardo intenso di Ilukka che ti inchioda alla sedia quando parla di giovani e diritti in Finlandia. Nel mio caso, l’esperimento culturale è andato addirittura oltre, unico ragazzo (…oggi sono solo 39 dai ci può stare) gay dichiarato e attivista per i diritti LGBT* ero, di fatto, circondato da persone provenienti da culture e dinamiche sociali completamente differenti dalle mie. Perciò mi sono chiesto fin dal principio cosa pensassero di me i miei compagni di viaggio. Vero è che tutti loro provenivano da ONG operanti in contesti di solidarietà sociale, ma vero anche che le radici culturali e religiose, le tradizioni di ciascuno di loro avrebbero potuto non essere così aperte al mondo LGBT*.

Complici gli incontri con alcune fra le più importanti organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti – come Human Right Watch per fare un esempio – e la mia rinomata faccia tosta, ho così cominciato a parlare liberamente di me e della mia esperienza per poi indagare più a fondo, cercando di comprendere le posizioni di ciascuno e cosa potesse significare essere gay, lesbica o trans in Bangladesh o in India o, ancora, appunto, in Paesi come l’Egitto . “In Giamaica siamo già al terzo Pride senza incidenti” dice fiero Fabian con la sua parlata allegra e gutturale. “In Montenegro la mia associazione lavora per accoglier anche i rifugiati LGBT” interviene Milan timido, l’inglese zoppicante. “Dario, però ricordiamoci che noi qui parliamo apertamente della situazione dei diritti LGBT e ci confrontiamo con organizzazioni che sono all’avanguardia… ma lo sai che poi la verità è un’altra, in Marocco, per esempio, è reato…” interviene apprensiva Dounia, ragazza marocchina, con il suo dolcissimo accento francese. Ed è sempre Dounia che, la settimana successiva al nostro rientro mi manda la notizia ANSA in cui si riporta che, a fine settembre, alcuni giovani sono stati arrestati a Il Cairo per aver sventolato la bandiera (rainbow) del movimento omosessuale al concerto rock della famosa band libanese, Mashrou Leila. “Here – mi scrive – is where we are… totally crazy…”. Sei ragazzi – che poi diventeranno molti di più – arrestati per aver promosso “devianze sessuali” e “dissolutezza”. Sei uomini che, riporta Amnesty International, sono stati sottoposti a indagini anali per verificare se fossero o no omosessuali. Una vera e propria caccia alle streghe terminata in persecuzione e tortura. E se non esiste una legge in Egitto (a differenza che in Marocco) che persegue i comportamenti omosessuali come reato, le pubbliche autorità e le forze dell’ordine piegano le norme a loro piacimento accusando gli omosessuali di praticare un comportamento indecente dal punto di vista morale e religioso. “Totally crazy” riprendendo le parole di Dounia.

Impossibile, leggendo questa notizia, che non mi tornasse in mente Mahmound, il suo essere silenzioso. Non so come le sue radici culturali e religiose gli avessero rappresentato l’omosessualità, non so nemmeno quale fosse il suo pensiero in merito. Il suo silenzio mi ha però impensierito durante tutte le tre settimane, non mi faceva sentire propriamente a mio agio. Questa sensazione è durata fino alla fine quando, prima di lasciarci, ciascuno di noi ha tirato le somme dell’esperienza fatta con un piccolo intervento conclusivo. Il discorso di Mahmound, più di molti altri, mi ha colpito perché mi ha ricordato che guardarsi in faccia, parlare e confrontarsi, condividere esperienze e idee pur molto diverse fra loro può avvicinare chi ha poco in comune, abbattendo quelle barriere e quelle diffidenze che impediscono qualsiasi tipo di dialogo. Mi ha ricordato che uno sguardo può valere molto di più di mille comunicati stampa o opinioni lasciate fluire incontrollate nell’etere nascosti dietro il grigio schermo di un pc, perchè con uno sguardo ci si capisce. Prima di salutarci Mahmoud è venuto da me, mi ha abbracciato e mi ha ringraziato. Non me lo aspettavo devo dire la verità. Sarà stato il suo silenzio a farmelo immaginare rigido e composto fino alla fine. Ma l’espressione che ho visto dipinta sul suo viso non era per nulla di circostanza.

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