Perché non aiutare un bambino in difficoltà? Apriamo le nostre porte all’affido

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Può arrivare un momento nella vita di un single o di una famiglia in cui si crei lo spazio per accogliere un bambino in difficoltà. Spazio emotivo e affettivo, che si traducono in voglia e tempo da dedicare a una giovane vita che sta attraversando un momento famigliare difficile. Questo è quello che è successo a Simonetta, che ha avvertito la presenza di questo spazio nella sua vita e ha deciso di riempirlo dando la sua disponibilità all’affido part time.

L’affido, come ricordavamo, in un precedente articolo di Alley Oop è “un provvedimento di carattere temporaneo, della durata massima di 24 mesi, che si rivolge a un nucleo familiare in difficoltà dove siano presenti bambini o ragazzi fino a 18 anni”. Esistono diverse forme di affido e quello part time è, appunto, solo per tempi limitati: week-end, vacanze estive… L’affido è alla portata di tutti: possono offrire la propria disponibilità all’affido sia coppie coniugate, con o senza figli, sia coppie non coniugate, sia single. Non ci sono limitazioni di età, né di reddito stabiliti per legge.
Abbiamo chiesto a Simonetta di raccontarci i suoi pensieri e la sua esperienza.

Hai già una figlia e una vita parecchio piena, dato che lavori e sei separata. Perché l’idea dell’affido?
In tutta onestà, mi piace avere la possibilità di scoprire l’altro, di stupirmi, di gioire, di arrabbiarmi e di accudire e, vedendo mia figlia ormai cresciuta, ho iniziato ad avvertire un senso di perdita che avevo bisogno di colmare, almeno in parte. Pertanto, onestamente, questa idea direi che parte da un bisogno personale.

Dove e come hai raccolto le prime informazioni?
Lo stimolo è arrivato da un’amica che ha adottato. Mi sono recata nell’ufficio dell’assistente sociale del mio paese, che mi ha consigliato di rivolgermi ai servizi sociali del territorio che si occupano specificamente di adozione e affido, e che servono la zona in cui sono residente.

Ne hai parlato subito con tua figlia o avevi dei timori? E come ha reagito?
Essendo separata, anche se ormai da anni, non sono riuscita a parlargliene subito perché è importante creare lo “spazio” mentale per l’altro, un processo ed un percorso che richiedono tempo e molta attenzione, sia per mia figlia, sia per il bambino che viene accolto. Ho aspettato i tempi di mia figlia. In occasione di una richiesta urgente relativa al caso di una famiglia sfrattata, abbiamo iniziato a parlare di questa opportunità, ho chiesto a lei se era d’accordo ad accogliere una persona in maniera temporanea, e da lì abbiamo iniziato ad ipotizzare un’esperienza nostra. E solo allora mi sono recata dai servizi sociali, dando conferma della nostra disponibilità (prima ero andata solo per avere informazioni). Ho praticamente aspettato i suoi tempi, perché ho pensato che, simbolicamente, aprire una famiglia ad un’altra persona, nelle separazioni, significa far morire la famiglia precedente, o comunque prendere definitivamente atto che non si torna indietro. E ci vuole coraggio.

Come si svolge l’iter?
Si effettua un primo colloquio con l’assistente sociale in cui vengono illustrate le diverse tipologie di affido, da quello classico (che prevede eventualmente anche l’intervento del giudice a tutela del minore) agli affidi più “leggeri”, i cosiddetti part time, che possono svolgersi e limitarsi, per esempio, ai pomeriggi, o esclusivamente ai fine settimana, o durante le vacanze estive. Queste tipologie vengono utilizzate per quelle famiglie che vivono un momento di difficoltà, non prevedono l’allontanamento del bambino, che continua regolarmente a vivere con la famiglia di origine.
Poi ho effettuato altri due colloqui con la psicologa per analizzare in modo approfondito le motivazioni della mia scelta e per capire com’è organizzata la mia vita quotidiana e cosa ne pensasse mia figlia.
Infine, un colloquio “tecnico” di inserimento dati affinché la disponibilità reale dell’affidatario venga intrecciata in rete con i bisogni della famiglia richiedente, e possa nascere quindi un’offerta valida sia da un punto di vista “clinico” (famiglia più opportuna) sia “logistico” (tempi, disponibilità, distanze, fasce orarie…).
E poi, si attende.
Per rendere fecondo il tempo dell’attesa, sono previsti dei gruppi di incontro con altre famiglie disponibili all’affido per conoscersi meglio, per imparare a gestire l’attesa, e conoscere le realtà già in atto.

  • Ida |

    Ho un bimbo in affido da quasi quattro anni ed aspettiamo il tribunale dei minori che proceda con la decisione finale. Perché questi tempi così lunghi?

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