Intrecciare connessioni fra arte e design. Conversazione con Nina Yashar

Nina Yashar all'interno del Nilufar Depot - foto Ilaria Defilippo

Nina Yashar all’interno del Nilufar Depot – foto Ilaria Defilippo

“Nina Yashar è la Peggy Guggenheim del design”, questo l’appellativo dato dal direttore della fiera Design Miami alla fondatrice di Nilufar, galleria in Via della Spiga a Milano e meta imperdibile per collezionisti e appassionati da tutto il mondo. Un titolo importante che le cade decisamente a pennello. Sono nata a Teheran, in Iran, nel 1958. Avevo solo 5 anni quando i miei genitori si trasferirono a Milano. Mio padre lavorava nel negozio di tessuti di famiglia e viaggiava moltissimo in Europa alla ricerca di novità; scelse l’Italia per trasferirsi perché era il paese che più lo accomunava alla cultura orientale per via delle abitudini, della spontaneità, del modo di affrontare la vita”. La piccola Nina si adattò rapidamente all’Italia e apprese la nuova lingua con grande facilità, come succede ai bambini: “Ho frequentato la scuola ebraica di Milano e successivamente la Facoltà di Lingue Orientali all’Università Ca’ Foscari di Venezia”, un modo per riavvicinarsi alla cultura d’origine. “A Venezia andavo solo per dare gli esami perché a Milano avevo iniziato a lavorare nell’attività di mio padre che vendeva tappeti antichi e contemporanei orientali. Lavorai con lui circa 6 mesi poi mi resi conto che la tipologia di tappeti che vendeva non corrispondeva al mio gusto”. Così, all’età di 21, Nina prese la decisione che le cambiò la vita: “Chiesi a mio padre se potevo aprire una galleria tutta mia; lui mi rispose di cercarla, che mi avrebbe pagato l’affitto per un anno insieme alla merce per iniziare l’attività; poi però avrei dovuto affrontare tutte le difficoltà da sola”. E così fece: “Ho aperto Nilufar – un termine che indica dolcezza, tenerezza – mentre stavo ancora studiando; trovai uno spazio in Via Bigli, dove rimasi per circa 12 anni. Poi scaduto il contratto mi sono messa alla ricerca di un’altra location e ho trovato la mia galleria attuale in Via della Spiga”, spiega la gallerista milanese.

Una vetrina della Galleria Nilufar in via della Spiga durante la Milano Design Week 2017 - foto Mattia Iotti

Una vetrina della Galleria Nilufar in via della Spiga durante la Milano Design Week 2017 – foto Mattia Iotti

Da subito capii che da giovane donna in un mondo di uomini avrei dovuto differenziarmi da quello che facevano i miei competitor principali, i colossi Elio Cittone e John Eskenazi. Così iniziai a trattare tappeti che all’epoca non erano molto conosciuti, diversi dalle tipologie tradizionali dei tappeti orientali, proponendo anche mostre tematiche che continuo a fare tutt’ora. La mia prima mostra fu ‘La rosa nel tappeto’ e collezionai una serie di kilim caratterizzati dal motivo decorativo della rosa. Poi feci anche una mostra sui tappeti francesi e su quelli tibetani, dove chiamai un monaco tibetano a fare un piccolo mandala nella vetrina di Nilufar”.

Nel corso degli anni Nina ha viaggiato in tutto il mondo alla scoperta di pezzi ricercati da proporre nella sua galleria: “Circa 20 anni fa andai a New York, dove ero solita recarmi per acquistare tappeti antichi. Un giorno però mi trovai di fronte a un tappeto di cui non conoscevo assolutamente la provenienza. Scoprì che si trattava di un tappeto svedese. Rimasi incantata dai motivi decorativi e dai colori così diversi rispetto ai tappeti classici orientali e decisi di intraprendere un viaggio in Svezia. In tre giorni acquistai 20 nuovi tappeti dal negozio più importante della città e capitai in un enorme magazzino di mobili dove – senza essere assolutamente a conoscenza di quello che andavo ad acquistare – comprai una serie di mobili svedesi. Tornata a Milano feci un catalogo e una mostra sui tappeti e mobili svedesi che ebbe molto successo soprattutto fra i miei amici architetti che riconobbero pezzi di designer storici degli anni ’50 e ’60 come Alvar Aalto, Bruno Mathsson e Hans Wegner. Così Nina ha approcciato il mondo del design, del tutto ignara di quello che sarebbe successo negli anni futuri, “un’attività che ora è basata per l’80% sull’acquisizione di mobili di design internazionale e italiano, al quale mi sono appassionata ormai da diversi anni” precisa la mercante d’arte.

Nina Yashar - foto Ilaria Defilippo

Nina Yashar – foto Ilaria Defilippo

Qual è la vera passione di Nina Yashar? “Il fil rouge della mia carriera è sempre stata la curiosità, il gusto del bello che non ha mai avuto confini geografici né storici. La mia vera passione, una volta acquistati pezzi che amo e che generano in me una certa emozione, è proprio quella di mettere oggetti di culture diverse in conversazione fra di loro per creare delle sinergie inaspettate”.

“A un certo punto il desiderio di acquisire nuovi oggetti aumentava di anno in anno, e mi resi conto che l’unico modo per poter condividere i miei pezzi anche all’estero era creare un catalogo che mostrasse questi oggetti, molto particolari nel loro genere, mixati tra di loro per provenienza e stile tanto che li intitolai ‘Crossings’. Editavo i testi e mi occupavo degli shooting. Spedivo questi libri a casa di clienti o potenziali clienti e questo ha permesso che il nome della galleria si diffondesse a livello internazionale, quando ancora non era così ovvio navigare in internet”.  Una reputazione, quella di Nilufar, consolidata nel corso degli anni non solo grazie ai libri ma anche grazie alle numerose partecipazioni alle fiere e mostre di settore come il Salon e l’Armory a New York, il Pad London, Design Miami o a eventi particolari come gli SQUAT: “In tempi non sospetti, circa 8 anni fa, feci il mio primo SQUAT a Parigi in Avenue Victor Hugo; si tratta di un evento in cui un appartamento privato, vuoto e in vendita viene arredato completamente con i miei pezzi e aperto al pubblico per un periodo di 3-6 settimane in cui le persone vengono a visitarlo e tutto ciò che è lì è in vendita, incluso l’appartamento. Il secondo SQUAT fu sempre a Parigi nell’Hôtel de Miramion, il posto più bello della mia esistenza, un Hôtel Particulier di 1500 metri quadrati sulla Senna, di fronte a Notre Dame. L’abbiamo messo in piedi in 12 giorni. Significa mobili, illuminazione, tappeti… tutto!”. C’è qualcuno che ha comprato il pacchetto completo? “Una volta sola, una buona parte di pezzi di design insieme all’appartamento”.

Il Nilufar Depot in Via Lancetti a Milano - foto Mattia Iotti

Il Nilufar Depot in Via Lancetti a Milano – foto Mattia Iotti

Oltre alla Galleria di Via della Spiga, da tre anni la gallerista ha aperto anche il Depot, una location teatrale nella quale i pezzi sono esposti in mini set: “Ero alla ricerca di un magazzino a Milano e trovai questo luogo, 1500 metri quadrati in Via Lancetti. La sera in cui lo inaugurai molte persone mi dissero che era una pazzia adibirlo a magazzino, perché sarebbe stato perfetto per l’esposizione di pezzi. Il progetto si ispira alle logge della Scala ed è realizzato come se fosse un vero e proprio magazzino – da qui il nome francese – per stoccare la mia merce, tanto che tutte le ringhiere sono amovibili per poter utilizzare il muletto. Alla fine è piaciuto così tanto che ho dovuto cercare un altro magazzino!”. Chi visita la Galleria e il Depot? “Persone incuriosite dalla mise en scene, dalla scenografia, dall’accostamento dei pezzi, ma principalmente entrano persone interessate all’acquisizione di pezzi, tanti interior decorator per soddisfare le esigenze dei loro clienti”.

Nina Yashar non si dedica solo alla ricerca di pezzi di design rari, ma è anche una scopritrice di talenti. “L’esempio vivente è Martino Gamper, che ho scoperto 12 anni fa, dopodiché ho acquisito la sua opera più importante, ‘100 Sedie in 100 Giorni’ che ha fatto il giro del mondo per oltre 10 anni in tantissimi musei occidentali, americani, australiani e giapponesi”.

Oltre a Gamper la gallerista ha fatto conoscere designer come Laura Bethan Wood e Michael Anastassiades, perché “il desiderio di mettere in luce, di portare alla ribalta, è sempre stata una delle mie maggiori passioni. Mi piace svelare talenti, mi piace molto”.

Cosa significa essere donna nel suo settore? “Ho dovuto conquistarmi credibilità e reputazione con molta fatica proprio perché il paragone con i miei competitor era veramente molto forte”.

Progetti per il futuro? “Ho già iniziato a lavorare al prossimo Salone del Mobile ma non voglio svelare dettagli. Ogni volta la Design Week è un dramma a livello di processo creativo, perché bisogna trovare contenuti sempre nuovi e immaginare già sulla carta come allestire ogni spazio della Galleria e del Depot”. Un’impresa difficile, che ogni anno però viene applaudita sia dal pubblico che dalla stampa internazionale.

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