Vincere o stravincere: il sottile confine con l’umiliazione sportiva

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In Spagna il tecnico di una squadra under 11 ha perso il lavoro per aver vinto, anzi stravinto una partita di calcio 25 a 0. Sembrerebbe che il povero tecnico del Serranos CD della comunità Valenciana abbia subito una incredibile ingiustizia: ha fatto stravincere la propria squadra e viene licenziato? La punizione ha avuto un’eco straordinaria, dato che in Spagna le categorie dei giovanissimi sono caratterizzate da campionati in cui risultati come 25 a 0 sono piuttosto comuni. La società ha spiegato la sua scelta in una maniera che non ammette repliche.

Già a metà del primo tempo il Serranos CD vinceva 15 a 0 contro il Benicalap C, che nel campionato ha preso un totale di 247 goal senza farne nemmeno uno. La vittoria era quindi già scritta, ma il fatto che l’allenatore abbia chiesto ai suoi giocatori di continuare a giocare in attacco in una situazione come quella non fa parte della filosofia del club. Che è quella di educare a valori come il rispetto della squadra avversaria. Insomma, sarebbe stato sufficiente mettere in campo qualche ragazzino che solitamente sta in panchina e dargli l’occasione in più per mettersi in gioco, piuttosto che guadagnarsi una  vittoria che era già scontata e che iniziava ad avere il sapore dell’umiliazione per la squadra avversaria.

Nell’ottobre del 2015 un giovane arbitro bolognese fu ammonito dalla Sezione Aia di Bologna per aver interrotto una partita di calcio già a 31 a 0. Secondo la sua valutazione, ragazzi di 14 anni non aveva senso subissero una disfatta di tali dimensioni, era evidente la superiorità di una squadra sull’altra. Eppure l’impossibilità di omologare la fine di una partita è contro il regolamento e l’arbitro è stato richiamato.

Il licenziamento del tecnico da un lato e la coscienza dell’arbitro bolognese aprono facilmente un dibattito sull’importanza del saper vincere. Qualcuno sosterrà che nello sport il rispetto dell’avversario consista nel non abbassare mai la guardia e continuare a giocare al proprio massimo anche se in forte vantaggio. Per la serie: il vero atleta che si trova in svantaggio di 24 goal non ha motivi di sentirsi umiliato.

Ma ha poco senso definire tutto con il bianco e il nero che, tolto lo sport a livello professionistico che si gioca con regole diverse e per cui vale sicuramente il non deludere l’avversario giocando al di sotto delle proprie possibilità, forse a 10 e 11 anni dovrebbe abbondare il grigio. Le vere discriminanti infatti sono la giovane età e l’equilibrio tra le parti. Le leggi che regolano lo sport professionistico sono molto differenti, così come profondamente diverse sono le dinamiche di una gara di atletica o di tuffi. Nessuno si stupirà giustamente se un maratoneta arriva molto tempo prima del secondo o terzo, anzi sarà un valore aggiunto. Ma se in una gara individuale ci si aspetta che l’individuo eccella e brilli nella disciplina, in uno scontro tra squadre forse è lecito aspettarsi che si lotti ad armi pari e che ci sia equilibrio in campo.

A questa età stravincere può umiliare l’ avversario, banalmente perché ha 11 anni e forse tutta questa consapevolezza del “lo sta facendo per me” non ce l’ha. Se in novanta minuti di gioco riusciamo a segnare 25 goal, credo che questo sia un eccesso per il nostro ego di bambini che è già noto per non essere così equilibrato. Qualcuno obietterà che sono lezioni che aiutano a crescere: in realtà quello che può essere vissuto solo come un’umiliazione non aiuta certo a sviluppare lo spirito sportivo o a crescere in una maniera più equilibrata. Quello che aiuta è capire che, anche nello sport, non ha senso vincere a tutti i costi e in qualsiasi modo, che a volte scelte controcorrente possono avere un significato profondo e che della vittoria magari schiacciante contano di più il fair play, lo stare bene in gruppo, l’importanza del sacrificio per cominciare, insomma tutta una serie di valori alla base del gioco di squadra e del vivere civile.