Quando l’amore (adolescenziale) è semplice come un battito

albero-cuoreNon è un caso che il cuore sia sempre stato rappresentato come il centro delle emozioni. Che sia il nostro cervello o la nostra anima a generarle, di certo il cuore ne è strumento rivelatore: se abbiamo paura, se siamo in ansia per un esame o per i risultati di un progetto, se siamo felici o rilassati, il nostro cuore, rallentando o accellerando il ritmo della sua corsa, è metro e misura del nostro stato d’animo.

Allo stesso modo non è un caso che il cuore simboleggi un’emozione precisa: l’amore. Vedere per caso una persona che ci piace ne aumenta velocemente i battiti, uno sfiorarsi involontario al primo appuntamento ci manda in tachicardia e il petto sussulta quando chi amiamo vi si poggia abbracciandoci. L’amore è di certo l’emozione che più disturba il regolare incedere del nostro muscolo più importante. Se così è, imparare ad ascoltare queste variazioni sul tema può permettere di capire con anticipo cosa proviamo in un dato momento per una data persona perché, chissà come, se il cuore salta un battito, state pur certi che siete nei guai prima ancora di accorgervene. Se alla mia – sì pur giovane – età posso dire di averne grossolanamente compreso il meccanismo, quando guardo al passato mi accorgo che non è sempre stato così. Quando sei adolescente la faccenda è parecchio più complicata. Perché il cuore non ha alcun rispetto per il suo ospite, non ti avverte quando parte di scatto per strangolarti le parole in gola, non ti avvisa quando decide pompare più sangue alle orecchie, colorandotele di un rosso acceso (cosa che nel mio caso specifico non passa inosservata). Non ha alcun rispetto per la tua complessa ed elaborata decisione di fare coming out in un dato momento o di rimandare il problema. Il cuore parte. Punto.

Frugando nella memoria ricordo ancora il terrore di quando, seduto al fianco di un ragazzo che avevo sempre ammirato da lontano, evitavo di appoggiarmi al banco perché i battiti del mio cuore erano talmente potenti che temevo lo avrebbero fatto sussultare assieme a me. Era bello come il sole e io, che guardavo ancora i cartoni animati, non capivo perché mi provocasse quella insistente e violenta aritmia. Era una sensazione strana che non comprendevo appieno, anche se intuivo di non poterne parlare liberamente. Quel momento ha segnato l’inizio di un percorso che mi ha portato ad essere quello che sono oggi. Quanta fatica! E se le cose fossero andate diversamente? Me lo chiedo spesso.

Per questo quando ho visto il trailer di In a Heartbeat, mi sono commosso. Il corto parla della prima cotta (si è parlato di amore ma, a mio parere, la cosa bella di quando si è adolescenti sono le splendide e devastanti cotte, quelle che ti colpiscono in testa come un martello da 200 tonnellate) di un ragazzino lentigginoso per uno dei ragazzi più cool della scuola. Non volendo fare il primo passo è il suo cuore che, uscendo dal petto, lo trascina letteralmente da lui.

Trovo che l’idea avuta da Beth Davis e Esteban Bravo (due studenti di animazione computerizzata che hanno lanciato con successo la campagna di finanziamento del corto sulla famosa piattaforma Kickstarter raccogliendo ad oggi oltre 14mila dollari) sia, in effetti, geniale. Perché riesce a rendere perfettamente in tutta la sua semplicità e purezza l’amore adolescenziale, qualunque forma prenda. Perché mostra con schiettezza fisica che il cuore parte all’improvviso seguendo ciecamente una direzione (qualunque essa sia) senza chiedere alcun permesso al suo ospite. Perché sottolinea che l’amore coglie di sorpresa anche chi non è minimamente pronto ad affrontare il tema e, probabilmente, non sa nemmeno cosa stia per affrontare. E non c’è freno che tenga, al cuor – come si dice – non si comanda, a prescindere da chi prova l’emozione e verso chi la si prova.

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In an heartbeat ci mostra quanto potrebbero andare naturalmente bene le cose se non ci fossero freni legati a quel bagaglio socio-politico-culturale che ci hanno caricato sulle spalle. Sarebbe tutto più spontaneo, come due adolescenti alle prime esperienza. Per questo il trailer è riuscito a commuovere uno come me, che – se pur giovane – non è più adolescente ma continua a guardare i cartoni animati.