Come raccontare la violenza sulle donne in modo corretto?

D5BRB3 domestic violence concept, with message on typewriter paper.

Una Carta deontologica con le linee guida per raccontare in maniera corretta la violenza contro le donne. Evitando parole improprie, strumentali, frutto di pregiudizi, stereotipi pericolosi. Parole che possono aggiungere violenza alla  violenza. A lanciare questa proposta,  sarà Anton Giulio Lana, presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, al convegno  organizzato il 26 maggio alla Camera dei Deputati (e intitolato ‘La violenza contro le donne nel web e offline: prevenzione e contrasto) dove è attesa, tra gli altri, la partecipazione della presidente Laura Boldrini. D’altronde ci sono già la  Carta di Treviso che difende i minori e la Carta di Roma a tutela dei migranti. La Carta che proteggerebbe le donne, destinata a giornalisti, operatori del diritto, forze dell’ordine, nascerebbe su modello e sulla falsariga delle Carte già esistenti e presupporrebbe il coinvolgimento dell’Ordine nazionale dei giornalisti, del Csm, del Consiglio nazionale degli avvocati. Con l’auspicio che, vista la sempre maggior diffusione della violenza via web, anche i Big di Internet, tipo Facebook, Google, Instagram,e  Twitter, aderiscano.  “Alla Camera dei Deputati – anticipa Lana – formalizzero’ una proposta per trovare un accordo tra il mondo della politica, del giornalismo, del diritto con l’obiettivo di realizzare un protocollo deontologico sui dati relativi alle vittime di violenza di genere”.

LA CARTA DEI DIRITTI E IL DIRITTO DI CRONACA

Lo strumento della Carta sarebbe finalizzato ad evitare sensazionalismi e spettacolarizzazioni, senza indebolire il diritto-dovere di cronaca. “Le notizie veicolate nelle occasioni di violenza sono  il frutto di una serie di informazioni attinte da forze dell’ordine, magistratura e avvocatura. Sono queste figure – spiega Lana -, fonti vitali per i giornalisti, che per prime hanno il dovere di utilizzare la massima precauzione e non prestare il fianco a possibili strumentalizzazioni. Decidere se far trapelare una notizia potrebbe limitare le già scarse possibilità di ottenere un rimedio efficacie alle lesioni subite: che senso avrebbe attivare il diritto all’oblio se nel frattempo la propria storia è stata già ampiamente raccontata? La salvaguardia del diritto di cronaca, inoltre, non può far venir meno la responsabilità di chi ha un ruolo di primo piano tanto sul  piano dell’informazione quanto su quello della formazione dell’opinione pubblica. Quando si parla di questi temi, infatti, mantenere un atteggiamento cauto è essenziale “.

IN EUROPA 9 MILIONI DI DONNE SUBISCONO VIOLENZA VIA WEB

Attenzione particolare merita oggi la violenza di genere che avviene sul web, il fatto più nuovo e che trova impreparati coloro che dovrebbero gestirla. Basti pensare al caso di Tiziana Cantone che, dopo la diffusione virale di un suo video hard e una profonda depressione, si è suicidata. “L’errore fatto in passato – aggiunge Lana – è stato quello di minimizzare e non comprendere che una violenza subita sul web non è meno grave, ma anzi amplifica le sue conseguenze perché i social network sono una centrifuga: le notizie girano ad una velocità incontrollabile e ingestibile per coloro che ne sono oggetto”. Secondo i  dati raccolti da un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite le donne connesse corrono il rischio di essere molestate online ventisette volte di più degli uomini. E il 73% di loro ha già sperimentato il cyberbullismo, fin dalla tenera età. A correre più rischi, infatti, sono le ragazze in età scolastica, soprattutto quelle che hanno un’età compresa tra i 18 e i 24 anni. Soltanto nei paesi dell’Unione europea ben il 18% delle donne è stata vittima di gravi forme di violenza online da quando aveva solo 15 anni. Dal report stilato dall’agenzia UN Women risulta che nove milioni di donne affrontano quotidianamente questi attacchi.

LA SITUAZIONE ITALIANA A BOCCE FERME

Attualmente  sul piano giuridico – spiega Lana – non c’è nel nostro ordinamento una normativa specifica come esiste ad esempio negli Stati Uniti. Da noi, di fronte a casi di violenza sul web, si ipotizzano i reati di diffamazione, o di stalking, oppure lesione del diritto alla riservatezza. Inoltre a livello giudiziario non c’è una risposta omogenea”. Per Lana non è tuttavia necessario passare da una nuova legge per risolvere la situazione. “Non credo che per ogni nuovo fenomeno bisogni adottare una nuova legge, è un atteggiamento che c’è  nel nostro Parlamento e nello Stato in genere. Ma si tratta di una reazione emotiva che tende ad acquietare la popolazione italiana. Spesso rimane sulla carta e non si notano passi avanti sul piano dell’effettività dell’azione. Credo che la risposta non si trovi né sul piano repressivo, pur importantissimo, né su quello legislativo.  Bisognerebbe piuttosto intervenire molto prima sul piano culturale e sociale, facendo informazione fin dalle elementare, ai giovani uomini che devono capire che la donna non è un oggetto che, qualora si nega, si può sopprimere proprio come una cosa non più utile“.