Selezioni “cieche al sesso”: ciò che non so non può condizionarmi

scalinoE’ comune sentire affermazioni come: “Qui conta il merito, non l’essere uomo o donna”, ma ogni volta che i ricercatori analizzano l’esito delle procedure di valutazione trovano piuttosto la prova del contrario. I risultati delle ricerche che confrontano gli esiti di una selezione con quelli “ciechi al sesso” del gruppo di controllo evidenziano consistenti e sistematiche disparità di trattamento causate dagli stereotipi di genere.

E’ importante sottolineare che i valutatori non ne hanno colpa, essendo anche loro, come ogni altro decisore, portatori inconsapevoli di stereotipi. Il comportamento viziato dal pregiudizio è infatti automatico e non intenzionale, pertanto è fuori dal controllo del valutatore, ed è spesso contradditorio rispetto alle sue intenzioni e ai suoi valori etici. Numerose ricerche hanno sottolineato che anche individui caratterizzati da forti valori egualitari, e pienamente convinti di non trattare diversamente donne e uomini, tengono, se pur inconsapevolmente, comportamenti discriminatori.

Quindi la letteratura rilevante ci insegna che l’intenzione non conta, e la buona volontà non basta.

Neppure una maggiore presenza femminile tra i valutatori, spesso auspicata nella convinzione che le donne sappiano più facilmente riconoscere il merito di altre donne, basta a garantire la parità di trattamento di una procedura di selezione. Gli stereotipi condizionano infatti i giudizi espressi da individui di entrambi i generi, e quando una differenza di comportamento emerge dall’analisi dei dati, l’essere valutati da una donna si rivela spesso per le donne un rimedio peggiore del male.

La “sindrome dell’ape regina” è la più nota espressione usata in letteratura per indicare il comportamento delle donne di successo che difendono il loro predominio ostacolando la carriera di altre donne.

Numerose ricerche attestano che le valutatrici risultano spesso più severe dei valutatori nel giudicare le persone del loro stesso sesso, e quando hanno successo in ambiti a dominanza maschile non esitano ad esprimere parere contrario alle politiche di pari opportunità. Una ricerca appena pubblicata analizza il comportamento di 8 mila commissari di concorsi accademici e conclude che l’obbligo della rappresentanza di genere costituisce più un ostacolo che un vantaggio per le carriere femminili perché di fatto riduce la probabilità di una candidata di ottenere l’abilitazione scientifica.

La letteratura evidenzia dunque che il talento e il merito non emergono semplicemente in risposta all’intenzione o al genere del decisore; quando però la selezione è “cieca al sesso”, cioè quando l’informazione sul genere è nascosta al selezionatore, le probabilità di successo della componente femminile aumentano nettamente.

Lo dimostrano, ad esempio, i dati riferiti a 14.000 componenti delle maggiori orchestre sinfoniche degli U.S. analizzati da Goldin e Rouse. Se le audizioni di prova dei candidati sono schermate, la probabilità di ottenere un posto in orchestra per una donna aumenta del 30% nella prima fase della selezione, e del 50% nelle fasi successive. E lo dimostra anche l’esperimento di Norton, Vandello e Darley sulla procedura di selezione di un candidato al quale si richiedono buone competenze ingegneristiche (considerate più maschili che femminili nello stereotipo) e adeguata esperienza nello stesso campo. I risultati, nel caso in cui il sesso dei candidati è esplicitamente indicato, sono molto diversi da quelli in cui il curriculum è anonimo: quando l’informazione sul sesso non è disponibile, i valutatori scelgono il candidato con maggiore istruzione nel 76% dei casi, e indicano nel 48% dei casi che l’istruzione è stata la variabile più importante nel determinare la loro decisione; quando sono i candidati di sesso maschile ad avere maggior istruzione, il risultato è quasi identico; ma quando sono le candidate ad avere il titolo di studio più elevato, il risultato cambia drasticamente per adattarsi al pregiudizio, e i valutatori scelgono il candidato con maggiore istruzione solo nel 43% dei casi, e indicano solo nel 22% dei casi che l’istruzione è stata la variabile più importante per la scelta.

In classe

“Prof, allora la legge che ha detto lei non serve a niente?”

Non lo so

“Ma allora cosa li batte, gli stereotipi?”

“Poiché nascono dal vuoto informativo, dall’ignoranza e dal pregiudizio[1], li batte la conoscenza, il sapere disciplinare, la ricerca, l’analisi dei dati, il metodo scientifico …

“Sì, va bene … ma in pratica?”

“Ad esempio, li batte la pratica dell’anonimato … ciò che non so non può condizionarmi”

 

[1]– Nel senso letterale del termine, cioè di non conoscenza e di giudizio espresso preliminarmente all’evidenza empirica.