Happiness @Work, la nuova via per le aziende che vogliono crescere

happinessNon ho mai sentito nessuno che dicesse “Thank God, it’s Monday”. Addirittura nel mondo anglosassone esiste l’espressione “Blue Monday” che è il lunedì più triste dell’anno. Invece quando arriva venerdì sembra che tutti siano più felici in attesa del weekend.

Lavoro e felicità è un binomio possibile?

La felicità è un tema antichissimo, ma solo recentemente ha iniziato ad essere valutato anche in ambito economico quale indicatore reale di benessere. Infatti sta crescendo la consapevolezza dell’inadeguatezza degli indicatori classici, troppo sbilanciati sui fattori economici. E stanno iniziando a nascere indicatori alternativi al PIL, che comprendono anche le dimensioni legate al benessere e al worklife balance. Il primo a parlarne fu Robert Kennedy nel Discorso del 18/3/1968 alla Kansas University dove disse:

«Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del PIL.[…] Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro istruzione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta»

E questa dimensione ha iniziato ad interessare le aziende. La società Gallup che misura il livello di felicità percepito nei Paesi del mondo, ha evidenziato come le organizzazioni che investono in strumenti per sostenere il benessere e la felicità dei propri dipendenti sono quelle maggiormente produttive (Ne aveva scritto anche MArina Salamon per Alley Oop) . Infatti hanno un tasso più basso di assenteismo, turn over e una maggiore produttività, soddisfazione dei clienti, profitti.

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C’è un altro fattore determinante affinché le aziende mettano al centro la felicità. La felicità infatti è una priorità per la Generazione Z.

La recente ricerca What the world’s Young People think and feel della Varkey Foundation ha intervistato un campione significativo di ragazze e ragazzi in 20 Paesi del mondo per raccogliere le loro priorità in termini di benessere, speranze e valori. La buona notizia è che il 68% di loro si dichiara felice e i ragazzi italiani sono lievemente sotto la media (65%).

Ma quali sono gli indicatori che determinano la felicità? Ai primi posti sono il benessere fisico, le emozioni positive con la famiglia e gli amici.

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Il lavoro fine a se stesso non sembra essere una priorità per i giovanissimi. Questo risultato potrebbe essere dovuto al fatto che molti degli intervistati probabilmente stanno ancora studiando e non lavorando, quindi queste per loro sono valutazioni di natura aspirazionale. In ogni caso, più le organizzazioni saranno “felici”, più alta sarà la probabilità che attraggano giovani talenti.

Ma cosa vuol dire essere un’organizzazione felice? Alexander Kjerulf, Chief Happiness Officer, ha creato un Manifesto che parte innanzitutto dalla volontà delle persone di ri-trovare la felicità al lavoro visto che sono le persone stesse che fanno un’organizzazione.

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Il circolo è virtuoso quando anche i programmi di people management mettono al centro la singola persona e il suo benessere. E un buon modo di farlo è iniziare a lavorare sulle priorità della Generazione Z che in Italia sono nell’ordine: opportunità di viaggiare e incontrare nuove persone, di sviluppare le competenze e di avanzare nella carriera e infine ricevere una equa retribuzione.