Riflessioni di una lobbista a cavallo tra Paesi e culture diverse

“Confesso: ho fatto lobbying a Bruxelles, Londra, Roma, Parigi persino all’Aia…”.

Immagino di esordire così, oggi, per sdrammatizzare, al seminario sul nuovo Registro dei rappresentanti di interesse  e inaugurazione dell’VIII edizione del Master in “Processi decisionali, lobbying e disciplina anticorruzione in Italia e in Europa” di Tor Vergata, a Roma.

E’ difficile riuscire a parlare di lobbying in maniera neutra. Come ex-consulente e ora lobbista ‘in house’, so bene che non c’è mestiere che sia più incompreso. Dalle presunte mazzette bevendo champagne allo smazzarsi centinaia di manuali tecnici, il nostro ruolo dipende da molti fattori.

Per la maggior parte di noi è un mestiere che appreso sul campo, non con corsi di master appositi. Di conseguenza è stato plasmato da una combinazione di regolamentazione e cultura civica. La mia esperienza come responsabile Relazioni Istituzionali per HP in Italia e UK mi ha fatto notare delle differenze importanti, e forse ovvie?, tra i due Paesi.

Regolamentazione

In Italia la situazione è frammentata. 50 bozze di leggi sono state presentate in 40 anni. Per ora solo alcuni ministeri, per esempio il MISE[1], e certe regioni[2]  hanno portato avanti iniziative volte a regolare il lobbying. L’ultima arrivata è quella oggetto del seminario di oggi, che permette previa registrazione ai rappresentanti d’interessi l’accesso alla Camera e li obbliga a una relazione annuale. Insomma una proliferazione di norme e registri, con scappatoie fin troppo facili.

In UK ci sono meno regole e, paradossalmente, più trasparenza. C’è un registro ufficiale del governo inglese a cui si devono iscrivere i consulenti e un ampio ed efficace Freedom of Information Act. Questo permette a chiunque di richiedere informazioni su incontri e scambi scritti con autorita’ pubbliche. E that’s it, basta e avanza[3].

In entrambi i Paesi poi, come un lobbista si comporta dipende anche dalle regole interne dell’azienda o agenzia di consulenza per cui lavora. Ciascuna ha i propri codici di condotta professionali, che sono vincoli più o meno restrittivi, che spesso vengono dimenticati.

Cultura civica

Come viene fatto lobbying dipende dalla relazione tra settore pubblico, privato e cittadini, e dalla cultura del policy making in relazione a questo triangolo. In UK una decisione legislativa o di policy è una sintesi di più interessi. Questo approccio si mostra nella sua luce migliore nelle discussioni delicatissime su Brexit. Ho partecipato a molteplici roundtables e incontri tra governo e industria per decidere quale traiettoria seguire nelle negoziazioni, il tutto in assoluta trasparenza e collaborazione.

Nella struttura amministrativa del governo inglese gli interessi dell’industria sono considerati talmente parte integrante del processo di policy making che esistono unità intere dedicate ai rapporti con l’industria, per esempio la Strategic Relations Team del Ministero di Commercio Internazionale. Il lobbista diventa quindi colui che si occupa di mantenere questo canale di comunicazione aperto e funzionante da parte dell’azienda.

In Italia nel processo legislativo c’è invece il timore di sembrare di parte o addirittura di essere al soldo di questo o quel settore. E quindi se i rappresentanti parlano con dei lobbisti lo fanno malvolentieri o con la coda di paglia. La colpa, se di colpa si può parlare, sta da entrambe le parti. Se i legislatori ci trattano come paravento della politica, noi lobbisti valorizziamo l’avere network e le nostre conoscenze personali più delle capacità individuali o delle competenze.

Ma la marea sta cambiando.

Mentre le leggi evolvono e si adattano agli standard internazionali, la cultura può solo cambiare attraverso l’educazione delle nuove generazioni di lobbisti. Per questo i master[4] come quello che viene presentato oggi sono fondamentali nella transizione culturale dell’Italia verso un modello in cui fare lobbying e’ parte del processo democratico, e non suo antagonista. Se insegnassi io al master, vorrei che passassero questi tre messaggi a quelli che di qui a 5/10 anni faranno il mio lavoro:

  • Verità: usa solo fatti e dati per fare lobbying, non lasciarti influenzare dalla deriva verso una politica post-verità;
  • Trasparenza: comportati secondo la regola della ‘storia di copertina’. Fai e esprimi solo quello che non ti vergogneresti a veder pubblicato sulle prime pagine dei giornali.
  • Integrità: Relazioni sì, ma non finanziarie. Se non bastano gli argomenti a convincere il tuo interlocutore, lascia perdere.

Infine, la capacità di mettere dei paletti. Al colloquio finale per il mio primo posto di lobbista mi à stato chiesto: se venisse un cliente i cui valori non coincidono con i tuoi, lo rappresenteresti? Ho osato rispondere no, non lo farei. E ho ottenuto il lavoro.

lobbying

[1] Ministero dello Sviluppo Economico

[2] Lombardia, Toscana, Molise e Abruzzo

[3] E’ indicativo della mancanza di vincoli governativi che le principali agenzie di lobbying hanno sentito il bisogno di autoregolarsi creando l’Association of Professional Political Consultants, un organo di rappresentanza con condice di comportamento e reporting. Una dimostrazione di buona volonta’ che e’ stata accolta molto bene e che ha dato molta credibilita’ al settore.

[4] Ci sono corsi di Master simili alla Luiss, LUMSA, Sole 24 ore

  • Cosimo Cucchiara |

    Certo che in italia ci siamo sforzati parecchio a far rientrare gli interessi (privati e collettivi) nei procedimenti amministrativi con la disciplina della 241/1990 e smi.,
    Tuttavia questi non hanno a che fare con la cultura delle lobby che provoca corruzione.

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