Catturare su pellicola l’essenza del design italiano. Conversazione con Marirosa Toscani Ballo

Marirosa Toscani Ballo - Foto Ilaria Defilippo

“Sono nata nel 1931 a Milano e ho frequentato il liceo artistico a Brera, in tempo di guerra. Mi piaceva moltissimo disegnare, ho sempre avuto questa passione” racconta Marirosa Toscani Ballo, classe 1931, figlia d’arte del fotografo Fedele Toscani, reporter al Corriere della Sera.

“In casa nostra si è sempre parlato di fotografia. Iposolfito era la parola d’ordine e anche noi –mamma, papà, la sorella Brunella e il fratello Oliviero (Toscani)– in fondo sapevamo di iposolfito”, il liquido che si usa in camera oscura per fissare le immagini.

“Ad un certo punto, mentre papà seguiva il Giro d’Italia sulle Alpi si è preso una polmonite così violenta che è stato due anni in sanatorio a Sondalo. Dopo il suo ritorno dal Giro ho pensato di avere un’unica alternativa: sostituirmi a lui nella sua agenzia fotografica Rotofoto per dargli una mano”. “Così ho iniziato anche io a fare la reporter (non avevo ancora finito il liceo) con la promessa che una volta ristabilito mio padre sarei tornata sui miei passi”.

Marirosa ricorda con affetto il padre e di come la sua professione abbia influito su di lei: “Papà amava moltissimo il suo lavoro, era il periodo in cui al Corriere c’era Buzzati e molte altre grandi firme. Lo andavo a trovare in sanatorio, lo tenevo aggiornato su cosa succedeva in studio e seguivo i suoi consigli. Ho iniziato a girare parecchio; non avevo ancora 18 anni e per accompagnare i ragazzi dello studio a seguire le partite e le storie di cronaca ho preso il patentino rosa, quello riservato a chi ancora non ha la patente”.

Fotoreporter non solo in Italia, ma anche oltre confine: “Quando facevo la reporter sono andata a Barcellona a fotografare il Campionato del Mondo di automobilismo. Avevo 19 anni, era il 1950. I fotografi erano interessati a me non tanto per il particolare punto di vista che avevo scelto, ma perché portavo i pantaloni! Ero stupita, completamente”. Quante donne reporter c’erano in quegli anni? “Praticamente nessuna, alcune modaiole o quelle nate ricche che potevano permettersi di fare fotografia”.

Marirosa Toscani Ballo - Foto Ilaria Defilippo

Marirosa Toscani Ballo – Foto Ilaria Defilippo

È il 1951 quando Marirosa deve seguire un tragico evento di cronaca, l’alluvione del Polesine: “Uno dei primi lavori che ho seguito, una grande storia a livello psicologico che mi ha colpito molto, è stato terribile. Ho seguito anche alcune manifestazioni di Miss Italia, quando c’era Gina Lollobrigida. La ricordo ancora, era molto simpatica… e Lucia Bosé, scovata in una confetteria tanto era bella!”.

E poi l’incontro che le cambiò la vita: “Ho conosciuto AldoBallo (lo pronuncia così, tutto attaccato) fra Brera, dove andava e veniva, e il palazzo dove abitavo io, in Piazza XXV Aprile, all’angolo con Corso Como. Aveva una sorella che abitava al quinto piano e ogni tanto lo vedevo mentre andava a trovare i suoi nipotini. Lui frequentava Architettura al Politecnico e a Brera avevamo amici comuni, come Massimo Vignelli che era in classe con me”.

Mentre Marirosa aiutava ancora il padre in agenzia, “ho chiesto al Ballo di aiutarmi per lavoro”. Così Aldo Ballo, nato a Sciacca nel 1928 e trasferitosi a 12 anni a Milano con la famiglia, abbandona al 3° anno la facoltà di architettura al Politecnico di Milano per fare il reporter insieme a Marirosa. È il 1953 quando i due lasciano lo studio del padre di Marirosa per aprirne uno tutto loro: lo studio fotografico Ballo+Ballo. Il simbolo di un sodalizio professionale e non solo. Di lì a poco, infatti, Marirosa e Aldo si sposano. “Ho iniziato da subito a creare il nostro archivio. Ogni singola fotografia è archiviata”.

“All’inizio avevamo uno studio condiviso con altri pittori di Brera, in via Settembrini. Era bellissimo, eravamo tutti amici. Noi avevamo due stanze, minuziosamente rivestite con linoleum per non rovinarne il pavimento. Iniziammo così a costruire la nostra storia”.

“Fotografavamo di tutto, anche foto di teatro, per guadagnarci da vivere. Non avevamo soldi. Quando ho lasciato papà mi ha dato una liquidazione di 450.000 lire, anche Ballo aveva la stessa cifra. Con questo piccolo capitale abbiamo avviato il nostro studio. Poi abbiamo traslocato in via Santa Croce al quinto piano, il soggiorno di giorno diventava studio, mentre di notte fungeva da  camera da letto”.

Come sono arrivate le prime commissioni? Come avete iniziato a lavorare per i grandi nomi del design? “Alcuni amici architetti e compagni di scuola come Gae Aulenti o Bruno Munari avevano molto in considerazione il nostro lavoro e sono iniziati ad arrivare i primi lavori per Bassetti, Barilla, La Rinascente e Agip. Per Pirelli per esempio dovevamo fotografare i gommoni, che non riuscivamo a far entrare nello studio…”. E quindi l’esigenza di spazi più ampi. “Abbiamo traslocato in via Tristano Calco 2. La casa era in costruzione, una metratura di 220 metri quadri, metà per la casa e metà per lo studio. Ricordo ancora Zanuso col suo cane, Enzo Mari, Magistretti, Castiglioni, Albini, Sottsass, Sapper… Abbiamo lavorato con designer e aziende che hanno fatto grande l’Italia. Avevamo voglia, avevamo tempo. E sperimentavamo moltissimo”.

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“Si è sparsa la voce e ci siamo specializzati da subito nelle immagini di oggetti di produzione industriale, una scelta precisa. Fotografavamo sempre cose che ci piacevano e che funzionavano. Prima le foto venivano scattate su velluti rossi, noi abbiamo provato a tracciare una nuova strada, usando gli sfondi bianchi”. Uno stile che è poi diventato la firma dello studio Ballo+Ballo, a contraddistinguere immagini pulite e raffinate che sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo.

Aldo e Marirosa Ballo hanno fotografato dagli anni ’50 in avanti tutte le icone del design italiano, la cui fama probabilmente è stata aiutata “dall’immagine nitida, serena, oggettiva e accattivante” che studiarono per questi oggetti, come sottolinea Isa Tutino, direttrice della rivista Casa Vogue, fondata nel 1968, con cui la coppia collaborò lungamente così come con altre riviste storiche come Domus o Abitare.

Sfogliamo insieme il catalogo che racchiude i lavori di una vita, quelli di coppia, fino alla morte di Aldo nel 1994, alla chiusura dello studio nel 2001. Le icone si susseguono una dopo l’altra, gli aneddoti anche. “Oliviero, l’abbiamo mandato ad imparare a fare fotografie a Zurigo, perché alla Rinascente insieme a Lora Lamm e Max Huber c’era questo bravissimo fotografo, Sergio Libis, che proveniva dalla Kunstgewerbe Schule. Gli dicemmo: Va’ e impara!”.

Marirosa Toscani Ballo oggi: “Continuo a fare foto, ma in digitale… Mi diletto con alcuni progetti fotografici personali, come i Mazzolini, oppure mi diverto con il caffè o i ritratti da mangiare”. Cosa ricorda del passato? “Era un buon design, era un buon periodo”.

“Le loro foto sono veri e propri ritratti, sapevano fare di un mobile un personaggio” —Isa Tutino

Marirosa Toscani Ballo - Foto Ilaria Defilippo

Marirosa Toscani Ballo – Foto Ilaria Defilippo