Quando adottare diventa un’odissea: il comitato Family for Children, un esempio di auto-mutuo aiuto

foto-articoloGli aspiranti genitori adottivi sono una grande risorsa, rappresentano la possibilità di dare un futuro di amore e protezione a bambini rimasti senza famiglia. Sono una risorsa non solo per i bambini, ma per la società intera. Sono però indubbiamente l’anello debole tra gli attori dell’iter adottivo. Quando una coppia decide di dare disponibilità all’adozione, è consapevole che inizierà un lungo percorso di vita e di trasformazione, dall’inizio definito ma dai tempi non facilmente prevedibili. Cosa succede però quando l’iter si arena ed entra in un labirinto chiuso, senza via di uscita? O quando, peggio ancora, le coppie vengono truffate o raggirate?

Gli enti adottivi sono designati per legge ad affiancare gli aspiranti genitori nell’iter dell’adozione internazionale, devono accompagnarli, guidarli, tutelarli e garantire che l’iter avvenga nel rispetto delle leggi del Paese di origine del bambino e delle leggi italiane. Cosa succede però quando un ente non è in grado di supportare le coppie nel modo dovuto, parcheggiandole e lasciandole sole per quattro o cinque anni d’attesa con scarse e lacunose notizie, o non si comporta in modo trasparente? Cosa possono fare le coppie? Alcuni aspiranti genitori non si sono persi d’animo e hanno deciso di dare vita al comitato Family for Children. Abbiamo incontrato Anna Comi e Karen Hague per dare voce alla loro storia e capire qual è lo scopo del comitato.

Come vi siete incontrati e com’è nata l’idea di riunirvi in un comitato?
Il comitato Family for Children è formato da aspiranti genitori adottivi, tra questi ci sono anche genitori che hanno già figli biologici e altri che hanno già adottato. Le famiglie si sono conosciute in diverse circostanze: sui social, attraverso gli incontri informativi organizzati dagli enti autorizzati, con il passaparola, ai corsi di formazione presso varie associazioni di famiglie adottive e perfino nei corridoi dei tribunali per i minorenni. L’idea di unirci in un comitato nasce dalla necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni rispetto ai problemi che molti aspiranti genitori adottivi stanno affrontando in questo specifico momento storico. Riunendoci abbiamo avuto modo di capire che le problematiche vissute nel mondo delle adozioni internazionali non si limitano ai pochi casi riportati dai media, e la mancanza di sostegno in alcuni casi sia da parte degli enti sia da parte delle autorità preposte ha reso indispensabile questa unione per dare voce a chi non viene ascoltato.

Quante famiglie raccoglie?
Sono numerosissime le famiglie che hanno aderito al comitato e, allo stesso tempo, sono centinaia le segnalazioni che abbiamo ricevuto da diverse coppie che ci raccontano le loro difficoltà. È evidente che ci sono problemi di comunicazione tra le famiglie, alcuni enti autorizzati e la Commissione per le Adozioni Internazionali e, laddove le coppie incontrano delle difficoltà durante l’iter adottivo, in molti casi sono abbandonate a se stesse.

Il vostro motto è “Raccontare per non subire” e avete una sezione sul vostro sito che accoglie le storie di altre famiglie, ricevete molte segnalazioni?
Sì, riceviamo quotidianamente nuove segnalazioni, molte sono così personali e private che non ci sembra corretto pubblicarle sul blog. Grazie alla nostra campagna di sensibilizzazione che sta mettendo in risalto tutti i difetti del mondo delle adozioni internazionali, si sta evidenziando la necessità di una pronta e non più rinviabile revisione del sistema. I bambini, i genitori biologici e le famiglie adottive sono i veri protagonisti delle adozioni, non gli enti che fungono da semplici intermediari di una procedura burocratica e tantomeno la Cai, che dovrebbe svolgere l’indispensabile compito di vigilanza. Non è accettabile che le famiglie si affidino agli enti autorizzati dallo Stato, convinte che questi siano in grado di gestire con professionalità e trasparenza le procedure di adozione, e poi, dopo aver investito anni delle loro vite e ingenti somme di denaro, vedano svanire la possibilità di accogliere un bambino in difficoltà a causa di, nei casi migliori, un’incompetenza totale o, nei casi peggiori, comportamenti illeciti. La domanda sorge spontanea: il sistema è attento agli interessi dei bambini, o piuttosto a quelli di alcuni enti che cercano di sopravvivere in Italia?

Il fatto di raccontare e condividere la vostra storia come vi ha aiutato in questi anni di attesa?
In realtà, l’obiettivo di raccontare e condividere non è stato ideato esclusivamente per aiutare noi stessi ma per far sì che altre famiglie in futuro possano evitare di trovarsi nella stessa situazione. Quindi il fatto di poter aiutare il prossimo ci aiuta e ci dà la forza di combattere.
Per anni il mondo delle adozioni internazionali è stato circondato da un muro di omertà, le coppie hanno paura di denunciare delle irregolarità temendo di perdere la possibilità di realizzare il loro sogno di diventare genitori. Soltanto pretendendo la massima trasparenza e affrontando le problematiche con correttezza si potrà restituire un senso di rispettabilità alle adozioni internazionali. Vorremmo che venisse restituita alle famiglie adottive la dignità che meritano e che venisse riconosciuto il fatto che le aspiranti coppie adottive sono un’importante risorsa per i bambini e per la società in cui viviamo.

Che cosa chiedete? Qualcuno vi ha ascoltato in questi anni?­­
Family for Children chiede che vengano prese tutte le misure necessarie per impedire qualsiasi pratica contraria agli scopi della Convenzione de l’Aja. Ciò vuole dire che la priorità numero uno è che i paesi esteri prendano le misure appropriate per consentire la permanenza dei bambini nella famiglia d’origine ma, allo stesso tempo, che venga riconosciuto il fatto che l’adozione internazionale può offrire l’opportunità di dare una famiglia permanente ai bambini per cui non può essere trovata una famiglia idonea nel loro stato d’origine. Non si può parlare del diritto di adottare un bambino, ma ogni bambino ha il diritto di crescere in un ambiente familiare piuttosto che vivere in un istituto a vita.
In Italia, le aspiranti famiglie adottive hanno l’obbligo di rivolgersi a un ente autorizzato dallo Stato per poter adottare internazionalmente, e di conseguenza sia gli enti sia la Cai hanno un’enorme responsabilità. Il vincolo di dover utilizzare un ente dovrebbe permettere l’accesso ad un sistema che garantisca tutte le tutele necessarie per affrontare questo percorso in maniera civile. In primis, che vengano tutelati i diritti fondamentali dei bambini e, in secondo luogo, che le famiglie non subiscano vessazioni.
Negli anni abbiamo cercato degli interlocutori e, prima di tutto, abbiamo provato a contattare la Cai, che è l’autorità centrale in Italia preposta a svolgere le funzioni e i compiti assegnati dalla legge sull’adozione, ma il silenzio della Cai risulta, a dir poco, assordante rispetto ai fatti denunciati. Molte famiglie hanno scritto alla Cai e alla vicepresidente, Silvia Della Monica, per chiedere un incontro, ma nessuno si è degnato finora di rispondere, anche solo per dire che ciò non fosse possibile. Ogni risposta a qualsiasi domanda puntualmente è stata evitata.
Abbiamo vissuto un breve periodo di speranza durante l’ultima presidenza del ministro Maria Elena Boschi, che ha raccolto le nostre denunce e ha ascoltato le nostre vicissitudini ma, purtroppo, non abbiamo assistito finora ad alcuna evoluzione o azione compiuta in modo da capovolgere questa vergognosa situazione di opacità. Purtroppo, lo stato in cui si trovano tantissime famiglie fa sorgere interrogativi e dubbi sul fatto che le istituzioni preposte, a cui le famiglie hanno chiesto più volte aiuto, vogliano ascoltarle. Vorremmo che questo dubbio fosse concretamente fugato.