Storia di un aborto

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Ada ha 21 anni e sta per laurearsi all’Università di Siena. La gravidanza non l’aveva prevista né voluta, è arrivata come un brutto sogno. Al suo risveglio, però, è ancora lì. Tra le lacrime e il malessere fisico, decide di abortire. E’ una decisione che sembra impossibile, eppure spetta a lei, che è ancora una ragazza, e lei la prende.

La intervisto davanti a un cappuccino e sembra una persona spezzata. Lo ha già fatto: ha abortito. Quel bambino che non è stato, lei non lo sentiva e non lo voleva, non era suo. Lo ha “interrotto” quando per la legge erano ancora solo cellule, anche se ben combinate. La dottoressa che l’ha seguita è stata fredda ma efficiente. Durante l’ecografia le ha chiesto “Sa già se lo tiene?”, e, quando Ada ha risposto di no, lei ha girato il monitor in modo che Ada non vedesse. Ada mi confessa però di aver visto, anche se per meno di un minuto, quella cosa piccola e vitale dentro di lei. L’obbligo di guardare l’ecografia è stato un metodo per un certo periodo in uso negli Stati Uniti per dissuadere le donne dall’abortire.

Questa settimana hanno preso servizio al San Camillo di Roma due medici selezionati con un bando della Regione perché “non obiettori” e vincolati al restare tali se vogliono conservare il lavoro. In Italia, 8 medici su 10 sono obiettori, mettendo a rischio un diritto che le persone (perché ad abortire fisicamente è la donna, ma c’è sempre, da qualche parte, anche un uomo) hanno per legge. Una legge, la 194, che ha avuto come risultato che in Italia gli aborti siano scesi nell’ultimo anno sotto quota 90mila dai 235mila del 1982: un calo impressionante, che indica che la tutela e la garanzia del diritto migliorano le condizioni di vita e di scelta delle donne.

Ada è stata aiutata da una dottoressa fredda ma non giudicante in una scelta che la seguirà per tutta la vita. Ha abortito e non potrà parlarne, sarà il suo stigma segreto. E’ solo una delle tante donne, una delle tante storie, che cadono nella zona nera dei tabù della civiltà occidentale, come dimostra la Global Gag Rule americana restaurata da Donald Trump: diritti sempre a rischio di essere perduti, anche perché trattati implicitamente come colpe.

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