“Due partite” di Cristina Comencini: l’umanità femminile va in scena

Due partite senza vincitrici, quelle giocate dalle quattro bravissime attrici nella piece teatrale di Cristina Comencini per la regia di Paola Rota, in scena al teatro Manzoni di Milano dal 2 al 19 febbraio.

Nella prima partita, che si svolge negli anni 70, intorno al tavolo quattro donne giocano a carte mentre le loro bambine giocano a “fare le signore” nella stanza accanto. Nessuna di loro lavora, tutte hanno o stanno per avere figli, con alterne soddisfazioni, nessuna sembra aver realizzato la vita che voleva – o forse neanche sanno che vita avrebbero voluto. La pianista di talento (Giulia Bevilacqua) ha lasciato tutto per stare a casa ad aspettare il marito concertista, e compensa con l’ansia; la casalinga super mamma (Paola Minaccioni) fa i conti con un marito che la tradisce; la donna “tosta” e poco materna (Caterina Guzzanti) cerca l’amore in una casa di riserva, ma neanche quella sembra funzionare. Le tre amiche raccontano così le “gioie” della maternità alla quarta di loro (un’irresistibile Giulia Michelini dall’accento napoletano) incintissima, che ingenuamente pensava che la maternità fosse il coronamento della felicità coniugale.

Nella seconda parte dello spettacolo, la scena si sposta a 30 anni dopo e le quattro bravissime attrici si trasformano nelle proprie figlie. Che cosa è successo di quelle mamme e di quelle bambine? Più libera di quella che l’ha preceduta, la generazione in scena è però ugualmente tormentata: la figlia della pianista mancata è una pianista di successo afflitta da un compagno ansioso (“un uomo d’oro!” dicono le altre); la figlia della super mamma non riesce in nessun modo ad avere figli né a trovare un uomo che voglia condividere con lei “tutta quella responsabilità…. per ora inesistente!”; la figlia della donna tosta è una pediatra costretta a nascondere i propri spigoli al compagno che ha fantasie erotiche solo quando la vede casalinga; e la più giovane piange la mamma morta suicida, domandandosi come sia possibile tanta solitudine – e come abbia fatto il padre a non accorgersi che la mamma era morta mentre le dormiva al fianco per una notte intera.

Una nota di speranza chiude lo scambio che per due ore fa ridere e piangere, senza lasciare mai indifferenti: la bellissima poesia di Rainer Maria Rilke.

“Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile.

Questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina.
E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all’amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda”.


Lo spettacolo è al Teatro Manzoni di Milano fino al prossimo 19 febbraio.