Captain Fantastic, a volte basta un film

Un film, un libro, un quadro. Sono belli quando tirano fuori una parte nascosta di chi li osserva, quando parlano a quei lati profondi del sé che stanno lì, impolverati e dimenticati, mentre siamo impegnati a correre dietro alle giornate, a vivere alla velocità della luce cercando di rispondere a tutte le mail e far fronte a tutte le richieste.

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Captain Fantastic è così. Sarà che sono diventata un genitore da poco meno di due anni e il film parla di come si crescono i figli, sarà che erano appunto circa due anni che non andavo al cinema (sic!), sarà che si parla tanto – troppo? – di come si “debba” essere genitori… fatto sta che ho passato le due ore del film a piangere, a riflettere, a ridere, a farmi domande e a darmi solo alcune risposte.

Perché, dicevo a mio marito usciti dalla sala, in un film così ci vedi quello che è dentro di te in quel momento (e questo è quello che ci ha visto lui). Quello che ci è visto io è un modello di genitore che sembra arrivare da altri tempi,  in questo caso dagli ormai lontani anni ’70. Ma non si tratta del papà hippie senza regole (“un fricchettone vestito da pagliaccio”, secondo il suocero) ma di un padre che di regole ne dà molte, rigide, dure. Ma sono le sue. Profondamente sue, contro tutto e contro tutti. Contro una società da cui si isola e da cui isola i suoi figli. E questa è la prima riflessione: con i figli quello che conta è essere fino in fondo se stessi, senza mezzi termini, senza compromessi. Al resto penserà la società, penseranno loro stessi con le loro strade e i loro percorsi lontani dai nostri, ma la sfida  vera è quella di restare autentici, veri, senza maschere di fronte a loro. Quanto è difficile?

La seconda riflessione è che il modello di paternità di Captain Fantastic è quanto di più lontano dal padre tipico della “famiglia emotiva” di cui si discute oggi. Un padre che ha abdicato all’autorevolezza in favore dell’emotività e di quelle caratteristiche tradizionalmente tipiche del ruolo femminile. Col risultato, a volte, di famiglie con figure sovrapponibili e interscambiabili di madre e padre, dedite entrambe all’accudimento e alla cura emotiva. Senza poterne dare un giudizio di valore, la domanda, quando si discute di questo tipo di famiglia è: e le regole? E il padre da sfidare? E’ “l’evaporazione del padre” che porta a chiedersi (come ha fatto lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati in “Cosa resta del padre” prima e nel “Complesso di Telemaco” poi) chi avrà la funzione di guida? Chi trasmetterà il desiderio? Chi darà il limite? E allora questo padre fuori dagli schemi, estremo e bizzarro, hippie ma che allo stesso sottopone i figli a prove fisiche durissime, ai quali non indora mai la pillola ma serve sempre la verità a tutti i costi, non nasconde nessun dettaglio della vita, anche se dalla vita consumistica e arida cerca di preservarli, questo padre se non proprio qualche risposta magari ci aiuta a farci qualche domanda in più. Su cosa davvero conta per noi, per esempio, su quanto siamo consapevoli delle nostre dinamiche relazionali e su quanto, ancora, siamo disposti a metterci in discussione e magari cambiare rotta se ci rendiamo conto che stiamo sbagliando. Per noi stessi o per i nostri figli.


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