Studi legali: poche socie e tante contraddizioni

toghe-rosaSono più della metà dei praticanti e degli stagisti che entrano negli studi legali (il 51,31%, secondo i dati dell’Associazione degli studi legali associati) eppure al ruolo di partner arrivano in poche. Il 16,84% per essere precisi. La cifra è il risultato dell’analisi di un campione di 60 studi legali d’affari italiani e internazionali fatta da Legalcommunity.it.

Confrontando il numero dei soci e delle socie è, infatti, emerso che la governance delle law firm continua a essere quasi del tutto maschile. Diventare socia di uno studio legale è perciò ancora una strada in salita, come dimostrano le risposte delle oltre 400 professioniste interpellate nel corso dell’indagine. Dalle loro parole emerge, infatti, tutta la difficoltà di conciliare lavoro e vita privata, ma anche le contraddizioni tipiche di chi non ama l’appellativo “avvocata” perché ha passato la vita a sentirsi dire: “Vuoi essere uguale a un uomo? Allora comportati come un uomo”.

Donne e potere: un binomio pieno di contraddizioni
Secondo la maggior parte delle avvocate e delle fiscaliste (62,5%) essere donna non è un ostacolo alla carriera. Eppure il 65% delle intervistate ha ammesso che alle donne sono spesso preclusi i ruoli apicali.

“Le donne – ha rivelato una professionista che ha preferito restare anonima – devono sforzarsi molto più degli uomini per raggiungere posizioni di vertice e spesso devono rinunciare a qualcosa. Alcune perdono la femminilità, adottando gli atteggiamenti più ‘bossy’ dei colleghi uomini. Altre rinunciano alla maternità e all’affetto di un compagno. Altre ancora sono costrette a delegare la crescita dei figli. A tutte queste rinunce e compromessi non corrisponde quasi mai un pari trattamento rispetto ai colleghi maschi, né in termini di compenso né in termini di carriera”.

La maternità non vissuta
Secondo il 54,17% delle intervistate la maternità non ha influito negativamente sulla propria carriera. E tuttavia la maggior parte delle avvocate e delle fiscaliste hanno precisato di aver deciso di rimandare questo momento in modo che non interrompesse l’ascesa professionale.

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Tiziana Del Prete

Numerose anche le professioniste che hanno ammesso di aver messo in secondo piano il ruolo di madre o di averlo vissuto in maniera “non tradizionale”. “Diventare madre – ha spiegato Tiziana Del Prete, partner dello studio Grimaldi – non ha influito sulla mia carriera ma il sacrificio mio e di mia figlia è stato enorme. Bisogna scegliere: se decidi di fare l’avvocato d’affari, devi accettare di non svolgere il ruolo di madre nei modi tradizionali”.

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Barbara Sartori

Discriminate a metà
Quasi metà (41,6%) delle intervistate ha dichiarato di aver subito discriminazioni nel corso della sua carriera. Tra chi (58,4%) ha negato di averne subite, c’è anche chi come Barbara Sartori, counsel di CBA Studio legale e tributario, ha precisato: “Ritengo di non aver subito discriminazione perchè, negli anni di crescita professionale, mi sono piuttosto adattata al modello maschile e ho cercato di apparire sempre perfettamente organizzata e di non aver mai bisogno di stare con la mia famiglia. Devo dire però che, al di là delle possibilità di conciliazione vita-lavoro che vengono concesse, la nostra è una professione che richiede una forte presenza sul campo”.

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Cristina Martorana

Cristina Martorana, partner dello studio legale Orrick, ha invece messo in luce il ruolo dei clienti: “Viviamo in un’epoca in cui il cliente ha ancora difficoltà a rivolgersi alla donna chiamandola avvocato. Viene più naturale rivolgersi a noi chiamandoci dottoresse o signore o signorine”.

Studi stranieri e italiani a confronto
Solo quattro studi legali stranieri (che operano in Italia) – Orrick Herrington & Sutcliffe, Rodl & Partner, Dentons e Hogan Lovells – superano il 20% delle presenza femminili al vertice. E solo uno – Hogan Lovells – raggiunge la soglia del 40%. Eppure quasi tutti dichiarano, nei loro siti web, di aver introdotto delle policy per valorizzare la presenza di donne.

Sono invece diciassette le law firm italiane, nel campione preso in esame, che superano il 20% di socie. Si tratta di BonelliErede, Pirola Pennuto Zei & Associati, Pedersoli Studio Legale, Grimaldi Studio Legale, Pavia e Ansaldo, Ls Lexjus Sinacta, Lombardi Molinari Segni, Grande Stevens, Carnelutti, R&P Legal, Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, La Scala, LabLaw, Giliberti Trisconia e Associati, De Berti Jacchia Franchini Forlani, CastaldiPartners, Portolano Cavallo Studio Legale.

Mentre si riducono a quattro – La Scala, De Berti Jacchia Franchini Forlani Studio Legale, CastaldiPartners e Portolano Cavallo Studio Legale – quelle che hanno più del 40% di partner donne. E tuttavia bisogna ricordare che il dato comprende sia le partner, sia le equity partner: le uniche davvero alla pari con i soci uomini.

Mancano, invece, nella quasi totalità degli studi legali italiani (nazionali e internazionali) delle policy per aumentare la presenza di donne, come hanno dichiarato l’87,5% delle professioniste. Sono inoltre solo il 33,4%, a detta delle intervistate, gli studi che offrono facilitazioni per le mamme e i papà.