La diversità per la signora Maria e per le Nazioni Unite: cose importanti di cui preoccuparsi oggi

Francesca Fedeli con il figlio Mario e il marito Roberto D'Angelo

Francesca Fedeli con il figlio Mario e il marito Roberto D’Angelo

Una volta una signora mi ha detto che lei ne capiva di diversità perchè faceva giocare le sue figliolette con il cugino Down e un anno le ha persino portate in vacanza in Perù, dove hanno giocato con i bambini di strada. Io non mi arrabbio, ho deciso di investire energie su temi più utili a cambiare lo stato di fatto. E poi chissà, forse 6 anni fa anch’io mi esprimevo così, rincorrevo il quadro, la dirigenza, l’ingresso in quel board, che ne sapevo di bambini diversi.

13 Gennaio 2011: è nato Mario. 23 Gennaio 2011: è nato Mario con la testa rotta.
A dieci giorni dalla nascita è entrata nella nostra famiglia la diagnosi di ictus perinatale e una prognosi, meglio definita solo oggi, di emiplegia, cioè un lato del corpo che risponde meno bene ai comandi centrali del cervello. E’ stato così che abbiamo imparato a conoscere il mondo dei diritti, delle categorie, della gran fatica attorno alla diversità.

Quando è successo a me, ho pensato che dovevo essere proprio sfigata a beccare una malattia di cui nessuno parlasse, anche Google sbagliava i risultati quando cercavo la parola ictus, pensava che fossi una settantenne con il colesterolo alto. Oggi qualcosa è cambiato: abbiamo aggregato 500 genitori in Italia in un gruppo chiuso di Facebook, e l’ambizione è raggiungere uno per uno i 3.5 milioni di bimbi come Mario in giro per il mondo. Troppi per essere considerati una malattia rara, ma troppo pochi per assurgere allo status di malattia del secolo; troppo gravi per essere inclusi in un gruppo sportivo di quartiere, ma troppo poco gravi per strappare una lacrima nelle campagne di fundraising.

E’ stato così che mi sono fatta le ossa a parlare di diversità, disabilità, inclusione, non le ho studiate a scuola ma ho ascoltato tutti i giorni le conversazioni dei caregivers, dei pazienti, dei medici, dei ricercatori, dei comunicatori scientifici e un’idea mia me la sono fatta.

Un esempio? A me fa davvero poco la differenza se un giornale affronta il tema scabroso delle bambole in carrozzina, parla di quella nuova app che fa parlare i muti con i sordi o ti consiglia dove andare a stampare la tua protesi del braccio nel fablab sotto casa. A me interessa capire come guadagnare tempo nel portare Mario da scuola a fare fisioterapia dall’altra parte della città, come evitare una settimana di tragedie quando dobbiamo andare a fare il prelievo del sangue , come non aspettare sei mesi per ritirare il nuovo tutore dall’officina ortopedica. E poi mi interessano le nuove cure, la ricerca sul cervello, conoscere lo sport più adatto e inclusivo per lui, le scuole che utilizzano la tecnologia per livellare le differenze nell’apprendimento.

Oggi, 3 dicembre, è la giornata mondiale delle persone con disabilità, si celebra tutti gli anni dal 1992, e il tema di quest’anno è “Achieving 17 Goals for the Future We Want” sulla recente adozione dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs) promossi dalle Nazioni Unite e sul ruolo di questi obiettivi nel costruire un mondo più inclusivo ed equo per le persone con disabilità.

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Obiettivi ambiziosi ma forse troppo lontani per il concetto di inclusività della signora Maria, che non vive la diversità in famiglia. Eppure un raccordo forse c’è:

Sono 150 milioni i bambini con disabilità censiti nel mondo, per cui la capacità di accedere alle informazioni, comunicare e partecipare pienamente nella società rimane un privilegio. Anche nei paesi cosiddetti sviluppati, il completamento della scuola primaria per questi bambini si attesta in media al 60%, con una caduta al 45% per gli uomini e al 30% per le donne nei paesi in via di sviluppo. Considerando che avere una disabilità aumenta il costo della vita di circa 1/3 del reddito medio nazionale, la mancanza di educazione diventa uno svantaggio infinito che continua ad esasperare le sfide vissute da questi bambini. Cominciamo a mandarli tutti a scuola, con le bambine della signora Maria.

Anch’io che ho due braccia e due gambe funzionanti posso sperimentare la disabilità in maniera temporanea, come quella volta che mi sono rotta un braccio o perchè in un periodo della mia vita ho portato in braccio un neonato: più immaginiamo un mondo a portata di Mario e più anche per me e per la signora Maria la vita sarà più facile.
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