Dislessia e dintorni: Gabriella (mamma e presidente) e la coop in campo per i bambini e i ragazzi con Dsa

Gabriella siede al tavolo dei relatori nella sua doppia veste: presidente della cooperativa sociale Squero, che dal 2011 a Venezia promuove centri ricreativi e per il doposcuola, e mamma di un ragazzo con Dsa. La sigla sta per Disturbo specifico dell’apprendimento e riunisce un mondo – dislessia, difficoltà nella lettura; disgrafia, la difficoltà nel tratto grafico, quella che una volta veniva chiamata la “brutta calligrafia”; disortografia, che impatta sulle parole, la loro scrittura e le regole ortografiche, e discalculia, che ostacola gli automatismi dei meccanismi di calcolo dei numeri – e ha un impatto sui ragazzi e sulle famiglie. Dai pregiudizi, al rischio di isolamento e difficoltà relazionali (oltre ai tempi lunghi che spesso occorrono  per poter giungere ad una diagnosi).


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Gabriella ha capito subito: «Mio figlio scriveva in modo particolare, aveva difficoltà con grafemi e sillabe, o separava male le parole. L’ho portato in un centro specializzato, cinque giorni di test in day hospital, e alla fine la diagnosi: Dsa misto, dislessia, disortografia e discalculia. Erano i primi anni della scuola elementare. Da quel giorno è iniziata la battaglia, perché non sempre le scuole sono attrezzate, non sempre gli insegnanti mettono in atto ciò che viene concordato nel piano didattico personalizzato (Pdp). Per loro, va detto, ogni verifica da preparare a parte è un lavoro in più».

dislessiaNon sempre le cose avvengono in modo così lineare: «Questi sono i bambini di cui si dice: è intelligente ma non si applica, e a volte prima di arrivare a una diagnosi ci sono anni di fatica e litigate per le ore passate sui compiti e i risultati insoddisfacenti. Per molti, arrivare a una diagnosi è un sollievo: almeno si sa con che problema si ha a che fare».

Ecco perché legge male, ecco perché tutta quella fatica a memorizzare una tabellina e il giorno dopo l’ha già dimenticata, ecco perché ci mette così tanto tempo.

Secondo i dati gli alunni con Dsa che frequentano le scuole italiane, statali e non, di ogni ordine e grado, sono oltre 186mila; una media del 2,1% del totale, che a Nord Ovest arriva al 3,4%. Numeri difficili da interpretare, perché alcuni allievi presentano più disturbi. Le diagnosi negli ultimi anni sono notevolmente aumentate (nell’anno scolastico 2010/2011 la percentuale era di appena lo 0,7%).

dislexiaNelle scuole del Veneto – la regione che ha legiferato per prima in Italia, prima ancora che ci fosse una norma nazionale – fra gli 8 e i 9 anni il 3% degli alunni ha un Dsa: la percentuale sale con l’aumentare dell’età, ma nel frattempo il tardivo riconoscimento del problema ha complicato il rendimento scolastico del bambino o del ragazzo, caricandolo di ulteriori disturbi emozionali (a volte comportamentali), facendo crescere anche il disagio delle famiglie.

Eppure gli alunni con Dsa sono vivaci, socievoli, intelligenti: spesso con un quoziente intellettivo superiore alla media. In un ambiente che li considera pigri, svogliati, poco concentrati o poco dotati, sono a rischio di ansia, depressione e perdita di autostima. I luoghi comuni si sprecano, insegnanti e anche compagni di classe talvolta sembrano non accettare la differenza.

dislessia3Ci sono ancora resistenze e luoghi comuni da sfatare, e senza cadere nella trappola di etichettare  questi bambini (e poi ragazzi e poi adulti) con il loro disturbo: «Non dovremmo dire “E’ un Dsa!”: le persono non sono e non si identificano con il disturbo di cui soffrono – spiega Marika Amidei, psicologa, invitata da Gabriella nel convegno che, a Mestre, ha fatto il punto sui Dsa – La legge di riferimento è la 170/2010: appena sei anni fa, dunque. Il percorso diagnostico è dovuto e standardizzato, ma serve una grande collaborazione con la scuola: se avete un dubbio su vostro figlio, parlatene con gli insegnanti. Solo collaborando si riesce a individuare gli strumenti compensativi (l’uso del pc in classe, ad esempio) e le misure dispensative (più tempo per le verifiche, o interrogazioni programmate) più adatte a ogni singolo caso»

.??????????????Agire – più in fretta possibile –è importante perché «i Dsa – sottolinea Cristina Di Curti, logopedista – hanno implicazioni anche extrascolastiche: pensate a un ragazzo in difficoltà nel leggere i messaggi su Whatsapp, o che commette errori di scrittura frequenti e per questo viene preso in giro. O pensiamo alle volte in cui leggere un semplice biglietto d’auguri diventa un’impresa. Il Dsa compromette la capacità di apprendere abilità specifiche, ma anche molto altro».

Ecco perché Gabriella è solo una dei tanti genitori in campo direttamente per sensibilizzare, informare le famiglie, e supportarle: nello stesso Veneto, così attento a legiferare, oggi la diagnosi è unicamente possibile attraverso i Distretti di Neuropsichiatria Infantile e nei pochissimi enti accreditati che possono seguire il percorso di accertamento diagnostico. Confusione, incertezza e – spesso – costi che aumentano.

Fra le risposte possibili c’è quella della cooperazione: la realtà di Gabriella – all’interno di Legacoop Veneto – ha scelto di occuparsi del doposcuola anche per ragazzi con Dsa, che studiano, assistiti dalle socie volontarie, insieme ai compagni, evitando solitudine e alleggerendo il compito dei genitori. «La numerosa partecipazione al seminario ci dice come il tema sia molto sentito non solo dalle famiglie che vivono sulla propria pelle i problemi correlati ai Dsa, ma anche dagli insegnanti e dal privato sociale, e in senso più ampio dai cittadini» dice Gabriella Trevisan: «È per noi un primo traguardo raggiunto rispetto alla necessità di far dialogare le famiglie con il mondo della scuola e della sanità nell’interesse, primo e unico, di favorire il migliore sviluppo dei nostri figli. Dall’osservatorio quotidiano della nostra cooperativa sociale sappiamo infatti quanto spesso le famiglie si sentano sole e quanto pesante possa essere il senso di colpa nei genitori di un figlio con Dsa».