Gli italiani preferiscono che il capo sia un uomo

capoDiversità sì, ma con moderazione. Soprattutto nei posti di comando. I lavoratori italiani dichiarano a maggioranza di voler lavorare in ambienti e team caratterizzati dalla diversità di genere, ma dovendo scegliere preferiscono  avere un diretto superiore uomo, nel 64% dei casi. Il dato emerge dal Randstad Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro di Randstad – secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane – condotta in 33 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori di età compresa fra 18 e 65 anni per ogni nazione.

“I risultati della ricerca – commenta Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia – evidenziano per l’Italia una sorta di asimmetria tra la sostanziale ‘solidarietà’ nei rapporti di lavoro orizzontali tra gregari, in cui appaiono ormai evidenti quasi a tutti i vantaggi della diversità di genere in azienda, e la visione più tradizionalista nelle relazioni gerarchiche, in cui il personale femminile sembra discriminato a vantaggio di quello maschile per l’avanzamento di carriera e per le posizioni di comando. Una situazione che deve vederci tutti impegnati per colmare le resistenze culturali che escludono ancora oggi il patrimonio di idee, esperienze e competenze della componente femminile, per favorire la parità di genere a tutti i livelli”.

Un dato assolutamente positivo è quello che riguarda il posto di lavoro in generale: secondo i risultati della ricerca, il 91% dei lavoratori italiani preferisce lavorare in contesti professionali caratterizzati dalla diversità di genere (contro l’87% della media mondiale) e l’89% ritiene che squadre eterogenee ottengano risultati migliori rispetto a team omogenei (contro il 68% della media globale). Numeri che mostrano come la diversità sia considerata un valore, cui non è più possibile rinunciare, soprattutto nei rapporti orizzontali fra colleghi allo stesso livello di carriera.

Una sensibilità che si riscontra anche nella percezione del trattamento dall’azienda: l’82% pensa che le imprese italiane si comportino allo stesso modo con i dipendenti di generi diversi e l’81% dichiara che a parità di funzione corrisponda una parità di trattamento.
Eppure, alla prova dei fatti, la situazione appare diversa. Un lavoratore italiano su tre (33%) crede che uomini e donne non abbiano le stesse possibilità di ottenere un lavoro o una promozione. E addirittura l’80% ritiene che, a parità di competenze, per un posto di lavoro vengano favoriti i candidati di genere maschile, mentre solo il 20% crede che il personale femminile riceva un trattamento privilegiato.

Come risolvere la stortura del sistema? Le azioni positive non sono poi viste così male, tutt’altro. Non sono pochi gli italiani favorevoli ad una disparità di trattamento per riuscire proprio a garantire l’obiettivo della diversità: il 43% giudica positivamente che un genere sia favorito sull’altro a questo scopo (ben il 7% in più della media globale e addirittura il 13% in più della media europea).

Tutto sommato, però, gli intervistati pensano sia solo questione di tempo: per il 62% la parità di genere aumenta con l’anzianità nel ruolo. Anche se il 75% dei dipendenti italiani afferma che il suo diretto superiore è un uomo. Eventualità preferita da quasi due lavoratori su tre (il 64%), rispetto all’avere un capo donna.

Considerando che l’occupazione maschile (66,9% alla fine del secondo trimestre 2016) è superiore a quella femminile (48,5%), il dato non dovrebbe stupire. Che gli uomini preferiscano avere un capo uomo è “purtroppo” scontato. Il problema è che spesso anche le donne preferiscono avere “a priori” un capo, piuttosto che una capa.