I grillini e le quote di genere: quando discriminano e quando no

All’interno della società “Capo d’Anzio” la parità dei generi è assente e a farlo notare sono i grillini di Anzio che chiedono a gran voce al sindaco Luciano Bruschini di ripristinare la parità di genere, riportava ieri un giornale locale. “La legge 15/07/2011 stabilisce la parità di genere nell’accesso agli organi amministrativi delle società pubbliche e delle società partecipate dello stato, regioni ed enti locali – scrivono i grillini anziati – la Capo d’Anzio non risulta aver ottemperato a questa legge, tant’è che il suo consiglio di amministrazione è interamente composto da uomini. Abbiamo ritenuto di segnalare la società al Ministero delle Pari Opportunità affinché sia ristabilita la quota proporzionale di genere come da legge chiediamo al Sindaco che si adoperi immediatamente per ripristinare le condizioni di parità di genere”.

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© rosellina garbo_WIN_Raggi.Engvig

La legge citata è la cosiddetta Golfo-Mosca, che prevede quote di genere per i consigli di amministrazione e i collegi sindacali delle società quotate e partecipate pubbliche. Si tratta di quella stessa legge contro cui si è pronunciata ieri la sindaca di Roma, Virginia Raggi: «Per me la legge sulle “quote rosa” rappresenta la definizione di una sorta di recinto, dentro il quale si è voluto circoscrivere la presenza femminile, perché questa avesse rappresentanza. Una legge fortemente discriminatoria. Una legge che non garantisce né democrazia né meritocrazia. È una legge che offende, in primo luogo, proprio le donne, e le relega in una visione anacronistica e primitiva. Io credo che la parità di genere vada promossa nella società. Serve una nuova visione culturale» ha dichiarato di fronte a seicento delegate intervenute all’Opening Ceremony della 19a Global WINConference che si sta svolgendo a Roma all’Ergife Hotel, dal 28 al 30 settembre. Peraltro è di diversa opinione la sindaca di Torino, Chiara Appendino, che ha sottolineato come le quote siano “uno strumento necessario, ma non un fine”.

Duole, comunque, dopo anni dall’approvazione della legge, tornare su un dibattito che ormai ha fatto il suo tempo e che anche in Parlamento ha visto prevalere i voti a favore di una affirmative action, peraltro prevista dalla Costituzione italiana all’articolo 3, che al secondo comma recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Perché la Costituzione non riconosce solo la parità formale, ma quella sostanziale, come la sindaca Raggi sa. Tanto è vero che la legge in questione, non essendo perpetua, ma limitata nel tempo, non è stata ritenuta incostituzionale.

Se vogliamo andare oltre, possiamo ricordare che proprio in base a questa legge l’Italia si trova ad essere una best practise a livello europeo con il 30% di donne nei cda delle società quotate. Facciamo addirittura meglio di Gran Bretagna e Stati Uniti. Una forzatura che nell’arco di una decina d’anni, previsti dalla legge, dovrebbe portare a un cambiamento culturale e sociale.

Che la legge Golfo-Mosca sia stata una norma all’avanguardia con quella svedese e francese, seguita poi da molte altri Paesi europei, è indubbio. Che ci siano i contrari a priori è naturale. Che le leggi, all’interno dello stesso movimento, siano una volta giudicate discriminante e una volta utili da applicare è un po’ sconcertante.