La genitorialità del conflitto è davvero la via giusta?

lettera papàPochi giorni fa un genitore di Varese ha rotto gli indugi e come un moderno Braveheart ha proclamato la libertà dai compiti delle vacanze. Il seguito di simpatizzanti è stato importante. Facile da prevedere, in fondo i compiti d’estate sono una seccatura, come la settimana lunga e i gli esercizi a casa nel fine settimana. Come spesso accade, il fronte si è rotto a causa dei conservatori che hanno sostenuto il no. Francesca, quarantenne genitrice, insegnante, come se non bastasse, ha cercato di guidare una controffensiva nella mia timeline di Facebook, ma le è andata male. La scuola è quella cosa che tiene impegnati i figli mentre i genitori sono al lavoro, non lo sai Francesca? Sono passati i tempi di mio padre che “la scuola è il tuo lavoro, se non fai i compiti sono affari tuoi, te la vedrai con gli insegnanti”.

Forse esiste una nuova genitorialità che interpreta il ruolo in termini di conflitto. La vita da una parte, “le nozioni e la cultura” dall’altra. Le esigenze della famiglia e quelle delle scuola. La scarsa preparazione degli insegnanti e il mito del genitore leader. Da questa cultura discende il paradigma che il lavoro dei genitori è la misura di ogni cosa e che ai suoi tempi e alle sue pause devono adeguarsi figli, insegnati, sistema scolastico e ricreativo in solido. Una genitorialità di scopo, quello del figlio che saprà farsi largo nella vita. Non a caso il rapporto annuale di Save The Children con Ipsos “lo stile di vita dei bambini e dei ragazzi” evidenzia che i figli sostengono che per i loro genitori sia della massima importanza che vadano bene a scuola, che pratichino sport e che lo facciano con risultati, che leggano e che la loro scuola abbia spazi all’aperto. Legittimo e molto pragmatico.

Eppure il 26% dei bambini e ragazzi italiani, fra i 6 e i 17 anni, dice che le attività che li rendono maggiormente felici sono quelle con i genitori e citano il cucinare assieme, il giocare, fare passeggiate, ricevere coccole e attenzioni. Invece, se a rispondere su cosa faccia più felice la loro prole sono i genitori, i momenti in famiglia scendono a un misero 14% e le attività citate sono giochi e passeggiate. Se questo dato parla, dice che la strada della comprensione dei nostri figli è ancora lunga e che la nostra tardo adolescenza non è uno strumento utile a colmare quel ricorrente gap generazionale che ha afflitto l’occidente da circa un secolo.

Quando abbiamo deciso di diventare genitori, cosa volevamo fare di noi e dei nostri figli?