Se anche Ibra urla a Pogba “Passa la palla”

MARK ZUCKERBERG

MARK ZUCKERBERG

«Io penso che se volete costruire qualcosa di grande, dovete concentrarvi sul prodotto che volete diffondere. Serve un’idea di impatto che volete lasciare nel mondo, non basta lanciare il business. E serve anche una squadra efficace. Molti pensano che la storia di Facebook sia quella di un uomo solo al comando. Migliaia di persone lavorano per Facebook. La mia impresa funziona perché ci compensiamo tra di noi». Mark Zuckerberg, il milionario fondatore di Facebook, è stato chiaro parlando agli studenti dell’Università Luiss a Roma: si vince se si fa gioco di squadra. Cosa non scontata e per niente facile, come ha sottolineato lo stesso Zuckerberg: dover condividere del tempo con tante altre persone che non abbiamo scelto non è facile. Succede a scuola, succede sul lavoro e succede sul campo da gioco.

ibra

Ibra e Pogba

La squadra ha un obiettivo comune a tutti i membri e questo contribuisce a integrare le differenze. Proprio per questo è importante imparare a “passare la palla”. Lo sa bene Paul Pogba, che dopo il suo esordio con il Manchester United dieci giorni fa, si è sentito apostrofare dal compagno di squadra Slatan Ibrahimovic con l’esortazione: “Devi passarla la palla! La prossima volta, passamela!”

La squadra è un arcobaleno di personalità, difficilmente è un puzzle come la compagnia di amici con cui si sceglie di passare il tempo. C’è la brava ma superba, la brava ma umile, la scarsa poco umile e non disponibile oppure semplicemente quella simpatica ed accomodante e quella solo antipatica. Se tuttavia sotto rete non vuoi alzare alla brava ma antipatica e preferisci favorire la goffa amica che non salta, il punto probabilmente non si farà. Stessa cosa se il campione, che dribbla come Maradona, per avere l’applauso attraversa tutto il campo, non passa e tira al palo.

salesianiSe si vuole vincere, è importante imparare a riconoscere l’importanza di un compagno ai fini del gioco. Che ci sia simpatico o meno, che condivida con noi religione, cultura o origini o meno. Sul campo, come sul lavoro, bisogna saper cedere il passo, cercare la sponda, alzare la palla alla persona che può andare in quel momento a segno.
La storia del basket americano, ad esempio, si è fatta sui playground, con i campetti nei quartieri poveri, dove anche i più grandi idoli si sono fatti le ossa. E nel campetto sotto casa non conta da dove vieni, ma solo come giochi. Le Polisportive Giovanili Salesiane hanno da tempo capito che l’integrazione può agilmente passare attraverso lo sport e hanno puntato sullo sviluppo di una serie di progetti. In Calabria, ad esempio, la PGS Italia ha avviato il progetto ‘3on3’: un canestro mobile in piazza, tornei 3 contro 3, una vera opportunità di incontro/ scontro. E così ti può capitare di far squadra con chi non conosci e di cercare l’intesa con qualcuno di cui non sai nemmeno il nome. Se fossimo capaci di fare altrettanto nella vita, probabilmente conteremmo più vittorie che sconfitte alla fine della giornata.