Un giorno nella spiaggia che divide uomini e donne con un muro (italianissima eh?)

Puro relax, in uno spazio off limits, lontano da partner, mariti e fidanzati. Le femmine da una parte, i maschi dall’altra. Pace allo stato puro.

Benvenuti in quella che è una particolarità tutta triestina: uno stabilimento balneare, unico in Italia, che separa all’ingresso gli uomini dalle donne. In spiaggia un muro alto circa tre metri divide i due sessi, e – proseguendo per un paio di metri anche in acqua – impedisce ogni forma di contatto e di promiscuità.

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E’ nato nel 1890 il bagno comunale La Lanterna, meglio noto come Pedocin: la città fioriva per traffici e commercio sotto l’egida dell’impero austriaco e ha cavalcato due secoli conservando intatta la sua originaria architettura. E’ una vera e propria istituzione per i triestini (con gruppi di amici su Facebook), e guai a toccare il muro! La lunga parete bianca fu abbattuta solo una sola volta nel 1959, ma venne ricostruita subito dopo, qualche metro più in là, concedendo più spazio alle donne, sempre più numerose.

lante4“Piace la separazione tra uomini e donne perché non viene vissuta come barriera che isola ed emargina, quanto piuttosto come emblema di libertà ed emancipazione”, spiega la giornalista triestina Carla Ciampalini . Al Pedocin ci si può sdraiare al sole senza pensare ai chili di troppo, alle smagliature o alla cellulite. Si gira in topless, costume o semplice reggiseno e al riparo da sguardi indesiderati o maliziosi, si viene esclusivamente per passare qualche ora sotto al sole, in assoluta tranquillità.

lante1La spiaggia resta aperta tutto l’anno, anche nei mesi invernali per l’elioterapia. Sono circa 2.500 gli ingressi giornalieri, in alta stagione, con una clientela popolare e multiculturale che riflette le varie componenti della città. Facile sentir parlare in sloveno o croato, tra i corpi stesi al sole, oppure in serbo, russo, e albanese, oltre naturalmente alle prevaricanti “ciacole” (chiacchiere) in dialetto triestino.

lante2In questo angolo di libertà, che ha ispirato libri, articoli, documentari e film d’autore, la presenza dei burkini sembra aver squassato l’equilibrio tra etnie, spaccando a metà le opinioni e  infiammando i commenti. Qui – dove tutto è libero e permesso -, il costume integrale delle donne di religione musulmana suscita stupore e registra qualche malumore. Tanto che il vicesindaco leghista annuncia una riflessione sull’opportunità di modificare il regolamento dello stabilimento, non escludendo di vietare l’uso del burkini. Quel muro, baluardo della libertà individuale e della privacy, sembra vacillare simbolicamente per qualche velo di troppo. E la vocazione multietnica, progredita e storicamente aconfessionale di Trieste sbiadire sotto al sole di fine agosto.

Grazie per le immagini al fotografo Sergio Paoletti