Un secondo. Pikachu.

imageMi chiamo Pikachu, e sono un Pokemon.

Sono qui, dentro questa buca, dietro alla siepe. Venite più vicini, che non posso parlare a voce troppo alta. Mi vedete adesso? Sono quella macchia gialla.

Per la precisione, sono un piccolo roditore con un spiccata capacità di immagazzinare energia elettrica. Un topo elettrico insomma, si sa che nei fumetti i topi hanno successo, da quel borioso di Topolino fino a quel secchione di Geronimo, anche se i miei migliori amici sono Jerry e Mignolo, certe sbronze… se gli sgabelli dei pub potessero parlare…

Spiegatemi cos’è successo, perché io davvero non lo capisco, e pensavo di averle viste tutte. All’inizio ho avuto una carriera folgorante, cos’altro poteva accadere a uno che ha un nome che vuol dire “Scintilla squittente”. E poi sono dannatamente bravo, ho fatto l’Actors Studio, ho avuto Tetsuya Tsurugi e Gigi la Trottola come insegnanti, e so solo io i libri di cibernetica che mi son dovuto mangiare, che già le insalate di matematica andavano giù meglio.  Dalla mia apparizione, nel 1996, sino a metà anni Duemila, è stata una cavalcata trionfale. Ero dappertutto, sulle carte da gioco, nei giornali, film, televisione. Time mi scelto come personaggio dell’anno nel 1999, ho avuto delle storie con tutte le pupe da sballo del mio mondo, da Jessica Rabbit a Lamù, anche se la storia più lunga e intensa l’ho avuta con Fujiko, con buona pace di Arsenio Lupin III. Interviste, talk show, feste, non avevo un momento di pace, i miei fans mi cercavano, in Giappone ero più famoso dell’imperatore.

Poi sono venuti gli anni bui, e non ero preparato. Come tante star bambine, ho imboccato una brutta strada. Avete presente Macaulay Caulkin, quello che perdeva l’aereo? O Drew Barrymore che a 7 anni blaterava con ET, un bel tipo quello, credo sia ancora dentro per adescamento di minori. Anche io sono passato per la cocaina, l’alcol, ho buttato via un sacco di soldi, Fujiko ha preso a farsi chiamare Margot pur di non farsi trovare. Ma sono stato in clinica, mi sono ripulito, non tocco un goccio da quasi dieci anni. Sono sparito tutto il tempo che mi serviva, con gli ultimi soldi ho comprato una casetta a Key West, vista oceano, e una barchetta da pesca. Fino all’altro ieri, mi guadagnavo da vivere accompagnando i turisti al largo, e se i pesci non abboccavano, lo ammetto, una piccola scarica elettrica aiutava a farli venire a galla. Spesso mi riconoscevano, i turisti, nonostante mi fossi fatto crescere la barba, e volevano che raccontassi loro qualche aneddoto, mentre si sbronzavano di birra ghiacciata. Loro. Io caffè nero.

Fino all’altro ieri. Ora ho orde di ragazzini brufolosi che mi inseguono con i telefoni in mano, che mi gridano dietro, che mi bombardano di palle colorate, e io devo correre, saltare, scappare, ma sembra che quei maledetti sappiano sempre dove sono.

Oh, no, eccoli, stanno arrivando. Ne sento le voci eccitate, i passi veloci. Vorrei stare ancora a parlare con voi, ma devo andare.

Un secondo e dovrò saltare fuori dal mio rifugio. Ci rivedremo da qualche parte, non ho dubbi.