Cirinnà: il Parlamento doveva lasciare la parola agli italiani

divorzio2Maggio 1974: a quattro anni dall’approvazione della legge sul divorzio, fu data la possibilità agli italiani di esprimersi in modo da risolvere una volta per tutte le tante controversie che avevano fatto seguito a quella novità normativa. I no vinsero con il 59,1% e il divorzio restò legge.

aborto1Maggio 1981: gli italiani tornano alle urne per il referendum abrogativo sulla legge 194 del 1978, quella sull’aborto. La percentuale dei no fu ben più ampia 88,4%. Sulla Cirinnà si sarebbe potuto fare lo stesso. Si sarebbe potuto avere quel coraggio che già negli anni ’70 la politica era stata capace di dimostrare portando nel Paese cambiamenti epocali.

Quando le leggi, infatti, vanno a regolamentare aspetti della vita strettamente connessi all’etica, il Parlamento dovrebbe proiettare il Paese in avanti con una visione del futuro e allo stesso tempo essere capace di fare successivamente un passo indietro per lasciare la parola al Paese. Aspetti così delicati e allo stesso tempo pervasivi della vita di una nazione non possono essere decisi esclusivamente nelle stanza chiuse dei palazzi romani, da qualche centinaio di parlamentari, anche nel caso che questi ultimi fossero le migliori menti del Paese.

Non intendo entrare nel dibattito sul contenuto, ma sul metodo sì. La pancia e il cuore degli italiani andava ascoltata, anche perché la storia ha dimostrato come nel segreto dell’urna il Paese sa fare una scelta e anche netta. Nel segnare la croce sulla scheda elettorale si risponde solo a se stessi. Non all’immagine che vogliamo dare di noi a una cena o fra colleghi.

Non solo. L’aver escluso dal testo della legge la stepchild e, andando oltre, anche la questione dell’utero in affitto ha segnato una resa della politica alla magistratura. Un arretramento del potere legislativo rispetto al potere giudiziario. Invece di normare realtà già esistenti, si è lasciato decidere di volta in volta ai giudici su una coerenza legislativa forzata anche da leggi esistenti in altri Paesi.

Così capita di leggere un giorno che la Cassazione toglie a una coppia bresciana etero sposata la figlia avuta in Ucraina da madre surrogata. Mentre,poi, il Tribunale dei minorenni di Roma, un altro giorno, riconosce l’adozione “incrociata” a una coppia di donne, delle figlie nate da due inseminazioni artificiali praticate in Danimarca. In questo caso il presidente del Tribunale si è affrettato a precisare che non si è sostituito al legislatore, ma ha applicato una legge dell’84. E i casi in Italia andranno solo ad aumentare rendendo sempre più complicate le situazioni da “sanare”, considerato che a livello internazionale sono molti ormai i Paesi in cui inseminazione e utero in affitto sono già normati e legali. Una coppia che porterà in Italia un bambino nato da madre surrogata potrà essere accusata di traffico illegale internazionale di bambini? Perché lasciare una zona grigia così ampia?

Il Parlamento ha fatto sì un passo indietro, ma nei confronti della magistratura. Quando avrebbe dovuto farlo nei confronti del popolo italiano.