Non sono un mammo

papàPochi giorni fa ho raccontato a una conoscente che avrei provato a scrivere qualcosa sulla paternità, in un blog. Non vorrai davvero fare la figura del mammo?, è stata la risposta. Questo banale episodio mi ha fatto ricordare tre cose. Non si fanno confidenze agli estranei. Non si valuta una donna dal verde dei suoi occhi. Esiste una questione maschile.
Dal 1880, quando Johanna Spyri scrisse Heidi, al 2014 quando Simon & Schuser pubblicò l’antologia Poems that make Grown Men Cry e il Pew Research Center contò negli USA oltre 2 milioni di padri che restano a casa per accudire i figli, la rappresentazione mainstream del maschio è cambiata poco o nulla.

Eppure, se il racconto della virilità, prima, e della paternità, di conseguenza, rimane immutato si perde una grande occasione collettiva, perché la rappresentazione del maschio influenza, nel bene e nel male, la messa in pratica della parità di genere. Sdoganare i padri di cura può, infatti, contribuire a costruire un sistema più efficiente di conciliazione e, soprattutto, a crescere figli pronti a vivere in una prospettiva di civile accettazione delle differenze.

E’ ragionevole ritenere che nessuno si senta più autorizzato a mettere in discussione che una donna possa essere vertice aziendale, capoufficio e via dirigendo e che un uomo possa dipendere dalla sua guida. E’ altrettanto probabile che siano ormai pochi quelli che pubblicamente possano esprimere disagio perché fidanzata, compagna o moglie riescono ad avere maggiore successo sul lavoro, carriera e denaro. Forse sono atteggiamenti non schietti, ma poco importa. Una norma è scritta, prima o poi ci si farà pace, tutti quanti.

Il discorso cambia, invece, se si toccano ambiti come la paternità o come l’affermazione del diritto alla delicatezza. Qui ancora ci si appella a ruoli e modelli talmente consunti che neanche sappiamo più di cosa stiamo parlando.Quale sarebbe la differenza di ruolo fra madre e padre? La cura, forse? Ebbene, i padri oggi, molti padri, rivendicano il piacere della cura dei figli. Non c’è propensione femminile che tenga, ed escludendo l’attitudine genetica al cambio di pannolini o alla cottura dell’uovo alla coque, quella cura materiale e morale che a lungo è stata appannaggio del mondo femminile, ora non può che essere un territorio di condivisione.

Ragionando fuori dagli schemi, non sembra eccessivo pensare che un padre possa cantare con i figli, pettinarli o cucinare per loro, consolarli se tristi, vezzeggiarli per farli sorridere. Tutto qui. Quello che non fa il piacere, lo faccia la responsabilità alla cura che non è, e non deve essere, solo più materna. Chi già lo fa, non sia chiamato mammo perché i mammi esistono solo nella fantasia e nel gergo di chi osteggia il cambiamento.

C’è da inventare un galateo, un nuovo vocabolario, ma come al solito la realtà è sempre un passo avanti a chi tenta di descriverla. E ci sono eserciti di padri che all’autogrill con loro figlia sanno improvvisare risposte alla domanda, uso il bagno delle donne o quello degli uomini?