Arriva lo smartworking, chi ha paura della flessibilità alzi la mano

dalìSi è fatto desiderare ma alla fine lo smart working è arrivato anche in Italia. Il Consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge, e si comincia a discutere sui diritti e doveri del lavoro agile (sinonimo caldeggiato dalla Crusca). Sia chiaro: il testo deve ancora percorrere l’iter parlamentare, ma questo ci consente di ragionare su alcune questioni prima che diventino legge.

Da un primo e veloce sondaggio – di quelli fatti a botta calda tra colleghi e amici – mi sembra che l’approccio al lavoro smart non trovi vie di mezzo. O si ama (con alcuni distinguo), o si odia. I commenti oscillano dall’euforia di chi afferma “Finalmente una legge che permette di conciliare vita e lavoro” a un più scettico “Dove sta l’inghippo? È solo un modo per fare risparmiare le aziende. Se lavoro da remoto non farò mai carriera”.

E la terza via? Non riusciamo a immaginare che per una volta gli interessi dei lavoratori e quelli delle aziende possano coincidere? Forse è proprio questa la sfida che ci attende, quella di lasciare alle spalle il vecchio modello produttivo del lavoro – molto rigido e gerarchico –  e pensare che ciò che conta è il risultato, l’obiettivo. Se così facciamo la flessibiltà (il luogo di lavoro oppure l’orario) viene da sé. Sembra semplice, ma la realtà italiana racconta tutta un’altra storia: la rivoluzione culturale non è ancora stata fatta. E il fallimento del telelavoro è solo una delle prove. Adapt, in un recente paper sul lavoro agile, chiede una legge che offra una cornice di riferimento meno timida. Con misure di incentivazione economica capaci di legare il lavoro agile a forme di detassazione o decontribuzione. Insomma, una spintarella piuttosto energica per far decollare la buona flessibilità.

Ma questo fa parte della discussione in corso. Al momento il nuovo disegno di legge (qui potete leggere un sunto) si concentra sul lavoratore; stabilisce che – a parità di mansioni – ha il diritto di ricevere trattamento economico e normativo “non inferiore” ai colleghi che svolgono la prestazione esclusivamente all’interno dell’azienda. È prevista l’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali: altro tassello importante che contribuisce a dare dignità al lavoro flessibile. Per completare la rivoluzione, mancano però le forme di incentivo per le imprese. In fondo i matrimoni si fanno in due. Ooplà